"La sofferenza dei
migranti detenuti in Libia è un oltraggio alla coscienza dell'umanità”. A fare
questa dichiarazione non è un attivista, ma un rappresentante dell’Alto Commissariato
per i Diritti Umani dell’ONU.
Quello che accade in Libia è l’inimmaginabile
che diventa quotidiana violenza. L’Italia e l’Europa, in modo criminale, si
ostinano a fare accordi - anche con trafficanti - per fermare a qualunque costo
persone che vogliono solo vivere una vita degna. Decisioni in mano ad una
piccola élite violenta che controlla e condiziona la vita di milioni di persone
attraverso politiche e accordi che decidono se un paese è buono o cattivo, se
un migrante è degno di chiedere protezione internazionale oppure se deve essere
considerato indigesto alla società. In quest’ultimo caso allora è degno di
essere violentato, torturato e abusato in Libia così come in Europa.
Nel 2016 e nel 2017 tantissimi minori
stranieri non accompagnati hanno perso la vita nel deserto o in mare. Tutti
quelli che hanno affrontato il viaggio, anche se minorenni, hanno vissuto le
stesse atrocità degli adulti durante il transito in Libia, per poi arrivare in
Europa a fare gli schiavi nelle nostre campagne o sulle nostre strade. È un
piccolo esercito di invisibili che vaga in cerca di una meta, attraversando
tutte le tappe dello sfruttamento. Su 18.500 minori non accompagnati arrivati
nel 2017, più di 5500 hanno lasciato volontariamente il centro in cui erano
stati collocati. La percentuale degli allontanamenti è aumentata negli ultimi
mesi a fronte dell’arrivo di tanti minori tunisini che hanno paura di essere
rimpatriati e che scappano appena ne hanno la possibilità. Fughe che spesso
potrebbero essere evitate con un’informativa legale chiara.
Gli ultimi dati sui minori sono
impietosi e dimostrano ancora una volta una percentuale altissima di
irreperibili, ossia minori di cui si sono perse le tracce e che saranno
sicuramente finiti nelle maglie di sfruttatori e trafficanti, i quali godono
delle politiche disumane e delle prassi illegittime messe in campo dalle
istituzioni.
In tale quadro si inserisce la
politica regionale dell’accoglienza ai minori che purtroppo è fallimentare. La
regione continua a firmare autorizzazioni per l’apertura di comunità di prima o
seconda accoglienza, senza avere reale contezza del contesto in cui vengono
aperte.
Ci sono paesi in cui il numero
di minori è altissimo e non sono presenti i servizi basilari come la scuola, la
sanità e i servizi sociali. È sufficiente che una comunità abbia un locale a
disposizione, anche disperso in montagna, per ricevere le autorizzazioni.
Da tempo evidenziamo un
problema legato al numero elevatissimo di centri di prima e seconda accoglienza
che continuano ad aprire, nonostante il calo degli arrivi. Ciò comporta che
molti centri non abbiano tutti i posti occupati, e pertanto, al fine di
continuare ad avere la corrispondenza delle rette, i minori non vengano
trasferiti altrove, impedendo la realizzazione di progetti educativi. Nonostante
questo problema sia stato più volte posto nelle sedi opportune, nessuna
soluzione è stata trovata. Chi paga sono i minori, che perdono la speranza, e a
cui noi sottraiamo quel poco di umanità che gli è rimasta dopo l’inferno
libico.
Dall'altro lato poi ci sono poi
casi in cui le comunità sono costrette a chiudere perché le istituzioni non
pagano da tempo. Per fare soltanto un esempio, la prefettura di Palermo è ferma
a gennaio 2017 con i pagamenti. In questi giorni alcune comunità hanno alzato
bandiera bianca con il rischio concreto che l’accoglienza continui sotto un
ponte o sotto i portici della stazione. Anche da questa situazione allora si
scappa per cercare futuro ma ci si ritrova in una tendopoli o in un casolare
abbandonato a elemosinare la vita.
Per quanto riguarda i neo
maggiorenni, che hanno uno status di protezione e che le comunità non hanno
accompagnato nel percorso di uscita, l’unica possibilità è la strada.
Quando monitoriamo i
centri, incontriamo spesso operatori inconsapevoli di quali siano esattamente
le loro mansioni, che lavorano con contratti privi di tutele, sottopagati e
sfruttati a loro volta. Operatori che vengono assunti per fare gli educatori ma
poi fanno tutt'altro.
Giovani neolaureati che
le cooperative possono spremere all'osso, giovani a cui togliamo anche la
passione per il lavoro e per il prossimo. Giovani costretti a lasciare il lavoro per non finire
in terapia a causa delle angherie che devono subire dai datori di lavoro. Dinamiche
ben note alle istituzioni, ai sindacati e alle organizzazioni umanitarie che
hanno la possibilità di interagire con i migranti e con gli operatori, ma che
non vengono scardinate per sostenere quella che – per pochi – è la più che
florida industria della migrazione.
Infine va denunciato
che negli ultimi CAS aperti nel territorio di Palermo e Agrigento, le persone vengono
abbandonate in strutture disperse e lontane dai centri abitati, omettendo
l’avvio delle pratiche burocratiche e non fornendo l’informativa legale. Ci
hanno riferito di problemi nell’accesso ai servizi fondamentali e nella
mancanza del vestiario. Mancanze a cui qualche operatore di buon cuore mette una
pezza, portando i ragazzi presso gli enti che a Palermo hanno un servizio di
distribuzione vestiti, come il centro Astalli, e addirittura accompagnandoli alla mensa della Caritas per mangiare, vista
la pessima qualità del cibo fornito nei centri.
La disumanità di questa politica è chiara
anche per i migranti che ne vivono sulla loro pelle le conseguenze, e la
domanda posta da un ragazzo “fantasma” tunisino ad un nostro amico, la dice
tutta sulla loro consapevolezza dell’ingiustizia di questo sistema : “Perché i vostri pensionati, i vostri
imprenditori possono venire nel nostro paese e noi veniamo respinti? Non siamo
anche noi simili ai vostri giovani che a centinaia di migliaia lasciano
l’Italia? Non sono anche loro migranti economici?”
Redazione Borderline Sicilia Onlus