giovedì 17 ottobre 2013

CAMPO PESTAGGI

Il Fatto - Veronica Tomassini
Siracusa -  In questa strada del pianto e delle buone intenzioni, di anatemi urlati pregni di tristezza civica e compassione, abbiamo incontrato un capitolo del-l’esodo che rompe tutti i piani.
La fonte teme di esporsi, ha origini arabe, vive in Italia da molti anni; conserva alcuni documenti, audio e video, che riguardano profughi siriani. Ascoltiamo anche noi. La voce è quella di una ragazzina, dice di chiamarsi Yasmine, viene da Damasco, lo sbarco a cui si riferisce è quello del 7 ottobre scorso, sulle coste di Pozzallo. Yasmine ha 12 anni, così racconta: “Eravamo seduti in una grande stanza, non abbiamo capito nulla. Gli uomini sono entrati con i manganelli e le loro facce ci spaventavano, hanno iniziato a colpire le persone e io ho cominciato a piangere. Ci hanno messo in un angolo e ho pianto tanto”. Yasmine riferisce di uomini e donne che supplicavano gli agenti, chiedendo l’intercessione di un avvocato, qualcuno implorava la presenza di un rappresentante della Human rights watch, l’associazione non governativa per i diritti umani. Se solo tu avessi visto, dice la bambina nell’audio, “hanno preso un giovane e lo hanno picchiato alle braccia e alle gambe”. Colpivano alla cieca, fino a ferire a un occhio una bambina di 2 anni, incidente confermato da altri siriani dello stesso sbarco.
Le testimonianze sono tante, registrate e custodite dalla nostra fonte. La ragazzina non specifica chi fossero gli uomini, forze dell’ordine, agenti, il campo però è il centro di prima identificazione dove i profughi vengono radunati subito dopo lo sbarco per l’iter del riconoscimento.
ED È LÌ CHE SECONDO Yasmine e altri siriani si sono consumati terribili pestaggi. I siriani di quello sbarco in particolare sembrano abbastanza preparati in materia di diritto, tra loro ci sono intellettuali e professionisti; buona parte della classe medio alta arriva con i barconi, spiega la nostra fonte, conoscono le leggi, la Dublino 2, la Bossi-Fini, ed è la ragione per cui non vogliono essere identificati in Italia, ma nei paesi dove intendono richiedere asilo, di solito in Nord Europa, Danimarca, Svezia, dove è più facile il ricongiungimento famigliare. Yasmine e la madre giurano di aver assistito a violenze inaudite.
Ma c’è molto altro, come racconta ancora un siriano di quello sbarco, di quei pestaggi, Mohammed di Damasco, 18 anni, studente: “Ci hanno portato in un centro di detenzione (lo intende così, nda), promettendoci cibo e una doccia a ognuno. Invece abbiamo fatto appena in tempo a ottenere acqua per i bambini, perché hanno iniziato subito la procedura del riconoscimento. Ci hanno detto che, se non davamo le nostre impronte, avrebbero usato la forza. Abbiamo deciso di rifiutarci, eravamo un gruppo; non volevamo l’asilo in Italia. Hanno preso alcune persone e le hanno picchiate, siamo intervenuti per difenderle, hanno caricato anche su di noi. Hanno colpito così tanto che hanno fratturato le braccia e le gambe di un ragazzo e un altro lo hanno colpito alla testa. Hanno usato i manganelli, anche quelli con la scossa elettrica che miravano ai nostri piedi. Colpivano a caso. Ne hanno prelevati due, quei due sono tornati sulla sedia perché non potevano camminare a causa delle botte”.
I pestaggi secondo i testimoni si sono verificati anche in altri centri e sempre subito dopo lo sbarco, dettaglio non meno fastidioso, qualora fosse del tutto confermato. L’uso dei manganelli e della scossa elettrica è una prassi, ha riferito la nostra fonte, parecchio usata – dicono i testimoni - soprattutto negli sbarchi di queste ultime tre settimane. Yasmine conclude la sua confessione audio usando più volte la parola “damar” che in arabo vuol dire disfatta, quel tanto che attiene al dolore, al disfacimento, ad una morte morale. Mohammed sostiene di aver udito uomini urlare pietà e imprecare con frasi del tipo “siete un paese democratico, fermatevi, Bashar Al Assad avrebbe avuto più misericordia”.