Sono giorni veramente caldi e non
solo per la temperatura costantemente intorno ai 40 gradi, ma perché la
violenza del sistema attuale si sta manifestando in tutto il suo carattere
discriminatorio e assassino. Sì, perché è criminale riportare in Libia migliaia
di persone per bloccare gli arrivi in Italia, facendo accordi con milizie
colluse con i trafficanti. Si tratta di respingimenti collettivi, di cui
l’Italia si è già macchiata in passato e per i quali è stata condannata dalla
Corte europea dei diritti dell’uomo.
Un'immagine ripresa durante lo sgombero in via Curtatone, a Roma - Ph. La Repubblica |
Ma il nuovo approccio operativo e divulgativo del governo italiano è chiaro: fermare gli sbarchi o comunque affermare di averlo fatto sacrificando bambini, donne e uomini riconsegnandoli ai loro carnefici. Riportiamo le parole raccolte dai tanti ragazzi incontrati su ciò che rischiano in Libia: “Quando ti riportano indietro, hai due possibilità: o pagare o muori. Ci danno la possibilità di pagare con i nostri organi, ma se non riusciamo a pagare ci aspetta una morte lenta e violenta”.
La situazione a Palermo e provincia
Così i numeri degli arrivi sono
calati e l’invasione di persone
pericolose e violente è stata bloccata, ed un pugno di voti è stato recuperato
anche per la falsa sinistra.
A Palermo non ci sono sbarchi da
qualche tempo, ma le persone arrivano lo stesso in città da altri porti. Sono stati aperti una serie di
centri d’accoglienza, soprattutto nei
comuni limitrofi, così come richiesto dal Ministero dell’Interno che a Palermo
e provincia pretende l’attivazione di ulteriori 1600 posti in accoglienza.
Nonostante tale “pianificazione” la situazione appare poco chiara e ancora una
volta emergenziale, e dunque lontana da un’accoglienza degna ed efficace.
I centri Baita del Faggio e Piano
Torre
Uno dei centri fuori città che
abbiamo visitato è Baita del Faggio, un ex albergo situato a 18 chilometri dal
centro di Isnello, nel cuore del Parco delle Madonie. In passato già utilizzato
come centro d’accoglienza, il 30 giugno è tornato a ospitare 90 ragazzi
dichiarati maggiorenni, per lo più bengalesi, maliani, nigeriani ed ivoriani.
I ragazzi, il termine più adatto a
questi per lo più giovanissimi ospiti, soggiornano nel cortile o nello spazio
comune dell’albergo, intrattenendosi con una televisione e un tavolo da
biliardo. A occuparsi di loro vi è un solo operatore ovvero un ex-ospite di
Piano Torre Park Hotel, un altro (ex) albergo già da tempo diventato centro
d’accoglienza, situato poco più a valle sulla medesima strada, a 10 chilometri
circa da Isnello. A supporto dell’operatore interviene saltuariamente la
responsabile di entrambe le strutture, gestiti dalla stessa cooperativa, che al
momento della nostra visita accoglievano in totale 134 persone.
Nell’arco della mattinata, sia nel
suo ufficio situato a Piano Torre che durante la visita a Baita del Faggio, la
responsabile ci ha ampiamente e legittimamente illustrato l’esito positivo del
suo incessante lavoro, in particolare si segnala la possibilità di formalizzare
l’istanza di protezione internazionale presso il commissariato di Cefalù. Il
risultato è una drastica riduzione dei tempi di attesa che, come è noto,
rappresentano una costante fra le criticità del sistema di accoglienza dei
richiedenti asilo in Sicilia. A sottolineare l’importanza del canale diretto
con il commissariato di Cefalù, bypassando la sempre più oberata Questura di
Palermo, è intervenuta anche la vice-responsabile, recentemente assunta per
sostenere il lavoro della responsabile, ben consapevole dell’importanza di
ridurre i tempi di attesa grazie alle pregresse esperienze professionali quale
responsabile di progetti SPRAR nel capoluogo siciliano.
A fronte dell’innegabile dedizione
al disbrigo delle pratiche amministrative emerge però un’evidente carenza di
operatori. Al di là degli ex-ospiti assunti, o in via d’assunzione, tra Piano
Torre e Baita del Faggio si ha la netta sensazione che entrambe le strutture
gravino sulla figura della responsabile. La stessa riconosce tale carenza e
racconta di grandi difficoltà a trovare personale “del luogo” disposto a
lavorare in questi centri, motivo per cui avrebbero definitivamente optato per
l’assunzione di ex ospiti.
In particolare, si segnala come
critica la situazione di Baita del Faggio. L’unico operatore non parla francese,
il che comporta l’assoluta mancanza di comunicazione con i tanti ospiti francofoni
per i quali, la responsabile, rappresenta l’unico contatto con il mondo
esterno. L’esigenza di comunicare è emersa sin dal nostro arrivo presso la
struttura. Non ci hanno sorpreso le tante domande ricevute, comprensibili ed in
parte prevedibili in merito alla loro condizione amministrativa, ma bensì le
domande “fuori tema”, sintomo di una condizione di semi-isolamento nonché
chiara espressione dell’esigenza di comunicare con l’esterno.
Gli ospiti raccontano di noia e
abbandono e lamentano mancanza d’informazione riguardo alla loro situazione
legale e le loro possibilità d’agire. Nonostante l’inequivocabile impegno da
parte della responsabile la situazione precaria del centro è evidente. “Vogliamo
andare a scuola, imparare l’Italiano e conoscere gente del posto, ma qui siamo
troppo lontani da tutto”, esclama un giovane nigeriano.
La distanza, aggiungiamo, non è solo
geografica. La mancanza di mediazione linguistica-culturale può generare
equivoci ed incomprensioni che, sottovalutati, possono condurre a situazioni
critiche. Tutti gli ospiti, ad esempio, lamentano il rigido razionamento
dell’acqua corrente disponibile solo un’ora dalle 8 alle 9 del mattino. La
responsabile giustifica tale situazione con l’arida estate che avrebbe creato
problemi di scarsità d’acqua in tutta la zona e che, al contempo, i ragazzi ne
avrebbero utilizzato troppa costringendola a prendere queste misure.
Vale la pena ricordare che in
passato tali strutture sono state già luogo di proteste da parte degli ospiti
che chiedevano un miglioramento della loro condizione. Il clima di disperazione
e sospetto riscontrato a Baita del Faggio ci induce a pensare che, senza un
deciso cambio di rotta, la situazione è destinata a peggiorare. Prima di
congedarci abbiamo avuto modo di confrontarci nuovamente con la responsabile
delle due strutture ed anche con il proprietario. Abbiamo sottolineato la
situazione critica di Baita del Faggio ricordando come eventuali proteste,
probabili se non si interviene, potrebbero comportare denunce e/o revoche delle
misure di accoglienza incidendo negativamente laddove non irreversibilmente sul
futuro di questi ragazzi.
Futuro
che, per molti di loro, dipende dalla capacità di reagire al presente. Alcuni,
ad esempio, sognano semplicemente di andare a scuola, come S. e A., due ragazzi
che abitano da quasi un anno e mezzo in un centro per minori in campagna nel
comune di Torretta. Parlano un italiano molto buono e hanno ottenuto il diploma
di terza media. Adesso vorrebbero andare avanti con gli studi e iniziare con il
programma delle superiori. Questo però non è possibile perché non ci sono mezzi
disponibili per accompagnarli. È palese, ed inaccettabile, come la posizione
geografica del centro al quale si è assegnati incida sulla possibilità o meno
di frequentare una scuola. È altrettanto evidente che frequentare la scuola,
oltre a migliorare la conoscenza della lingua, rappresenterebbe un’occasione
utile per conoscere e prendere contatti con altre persone, ampliare e/o creare
nuove prospettive e opportunità legate anche
alla conversione del titolo di soggiorno.
Ecco perché i suoi lunghissimi tempi
che i richiedenti asilo e rifugiati passano nei centri sono un problema tanto
grave, soprattutto se i centri poi sono così isolati: ostacolano chi ha voglia
di impegnarsi, frenano le menti sveglie e attive, a volte fino a spegnerne il
desiderio di autodeterminarsi lasciando persone disperate. Queste persone alla
fine dell’iter sono rimesse in strada, da un giorno all’altro costrette a badare
a loro stesse, dopo anni passati in una condizione di privazione dei propri
diritti.
Palermo
Focalizzando l’attenzione su Palermo,
si nota che sono stati recentemente aperti nuovi centri di primissima
accoglienza. In questi centri i migranti vengono trasferiti immediatamente dopo
le procedure di identificazione e, teoricamente, non dovrebbero restarci più di
48 ore, per poi essere spostati in un CAS. La gestione di questi centri
d’emergenza è stata affidata alla Caritas e, in emergenza, anche alla Croce
Rossa. Il funzionamento non è paragonabile a quello dei CAS, a partire dal fatto che l’ente gestore
non percepisce i “famosi” 35 euro al giorno per ogni persona affidatagli, ma
una somma stabilita dalla Prefettura oppure, come nel caso del centro gestito
dalla Caritas, lavora in base ai propri fondi.
Abbiamo incontrato alcuni ragazzi
ospiti in questi centri che vivacizzano le strade del centro multiculturale palermitano, che
sostengono di non aver ricevuto nessun
supporto legale e psicologico, né un corso di italiano. In parte i ragazzi
cercano questi servizi su propria iniziativa per esempio al centro
Astalli, ennesima dimostrazione
dell’importanza della società civile e del volontariato, costretti a sopperire
alle mancanze istituzionali. Operatrici e operatori della Caritas o della Croce
Rossa si trovano davanti a un compito per il quale non sono stati formati. È auspicabile che questi centri vengano al più presto
sostituiti con centri con operatori professionali,
così come richiesto nei tanti bandi andati a vuoto negli anni e che
costringono la Prefettura ad aprire centri in cui ammassare centinaia
di persone per un tempo indefinito.
La mancanza di informazioni e
l’incertezza sono provati, ad esempio, da quanto accaduto nel centro della Caritas
che rispetto ai 54 ospiti iniziali, al momento, ne accoglie circa 30. Gli altri hanno già
lasciato il posto, rischiando di perdere anche quel poco che gli viene
concesso.
I
centri per MSNA
Inoltre, in questa situazione di
mancanza di governance, si verifica un fatto veramente ridicolo: la regione continua ad autorizzare l’apertura di centri per minori
in tutta la Sicilia, ma il blocco degli arrivi ha fatto sì che i minori siano
di meno rispetto ai posti disponibili,
con la conseguenza che adesso sono gli enti gestori a lamentarsi di avere posti
letto disponibili e quindi un guadagno ridotto.
Ancora, si segnala che persistono i
ritardi nel trasferire i minori dai centri di primissima accoglienza a quelli di secondo livello perché altrimenti
non arriverebbero altri minori in sostituzione e, anche in questo caso, i
guadagni si ridurrebbero. In questo momento, infatti, gli operatori dei centri
che spesso non ricevono lo stipendio da
mesi e mesi, devono lottare anche contro i presidenti delle cooperative che si
lamentano del mancato guadagno. Tutto come sempre si muove dietro il dio
denaro.
A Palermo, la riduzione delle
presenze di MSNA ha permesso alla Prefettura di riconvertire da un giorno
all’altro i centri che aveva aperto in emergenza per la prima accoglienza per
MSNA in CAS per adulti, vista la necessità di posti. La rimodulazione e la conversione,
in alcuni casi, ha portato a disservizi che pagano gli ospiti come, ad esempio,
la mancata consegna del pocket money.
Di fronte a questo sistema diventa
sempre inevitabile la riflessione secondo la quale chi, in mancanza di
possibilità d’ingresso legali e sicure, in un modo o nell’altro è riuscito ad
arrivare alle nostre coste, in molti casi ha solo una strada ben definita
davanti dopo anni di parcheggio in isolamento: il circuito della criminalità,
che vive dello sfruttamento di queste persone ridotte a fantasmi non per caso,
ma per volontà di un sistema che pone sempre il lucro sopra le persone.
Tutto questo avremmo voluto dire al
ragazzo gambiano arrivato da due settimane
in Italia che ancora ci sorride e dice “Italyisverygood!”
Verena Walther
Borderline Sicilia Onlus