mercoledì 1 luglio 2015

Persone-Isole, su un isola

Mercoledì scorso sono arrivate altre 770 persone. Vengono quasi tutte dall’Africa. Sono arrivate alle otto, al porto di Palermo. La Croce Rossa, la Protezione Civile, la Caritas, l’ASP di Palermo, tutti presenti per dare una prima accoglienza. Chissà cosa pensano di noi europei questi migranti, quando ci vedono arrivare vestiti tutti di bianco, o rosso, o blu; figure anonime, perché anche la faccia è nascosta da un fazzoletto bianco. Ad accoglierli, in un angolo, stanno anche le telecamere e gli obiettivi delle macchine fotografiche dei giornalisti. Tra gli arrivati quella mattina c’erano anche donne e bambini; la prima a scendere dalla nave è stata una donna gravida. E partono gli scatti delle macchine fotografiche e le telecamere iniziano a riprendere. Questo è quello che la gente a casa, al tavolo, durante il pranzo o la cena, vuole vedere al telegiornale; sono queste le foto che catturano la loro attenzione leggendo il giornale. Perché l’essere umano viene spesso solo mosso dalla compassione; e vedere la donna gravida, affaticata dal lungo viaggio, scendere giù a stento dalla nave, è qualcosa che lo colpisce. L’accoglienza oggi al porto di Palermo è avvenuta nel miglior modo possibile. Oggi, noi siciliani che con orgoglio ci definiamo un popolo sempre pronto all’ospitalità, abbiamo dato il meglio di noi. Erano circa otto i mediatori culturali presenti sul luogo di sbarco. Perché di mediazione in effetti, c’è bisogno. Purtroppo però, pare che in alcuni casi, la mediazione si limiti solo al momento dello sbarco.

L’essere umano ha, nella maggior parte dei casi, bisogno di entrare in contatto con i suoi simili. A partire dalle cose più basilari, come la richiesta di cibo e acqua, alla semplice voglia di star vicini e condividere pensieri e opinioni con qualcuno, l’uomo usa spesso come mezzo di interazione, la lingua. Lo scambio di informazioni diventa difficile nel momento in cui per esempio, gli interlocutori non condividono la stessa lingua. Vi sarà sicuramente capitato di andare in vacanza in un paese di cui sconoscevate la lingua, o che qualche turista vi abbia fermato per strada per chiedervi delle informazioni, che ahimè non siete riusciti a dare pur volendo, perché non sapevate esprimervi nella lingua dell’altro; e a noi Siciliani dispiace davvero molto non poter aiutare; noi, che siamo così ospitali e che lo vogliamo dimostrare. Nel caso in cui vi siate ritrovati in un paese di cui non parlate la lingua invece, è probabile che vi siate sentiti spaesati e fuori luogo. All’improvviso, anche procurarsi del cibo diventa un’impresa. Con il passare del tempo, comunque ci diamo da fare: se siamo in vacanza cerchiamo di imparare il minimo indispensabile, e se invece dobbiamo soggiornare per un periodo più lungo, iniziamo anche a frequentare dei corsi di lingua. Ma nonostante ciò, ci fa sempre piacere sentire qualcuno che parla la nostra lingua, perché ci fa sentire a casa.

Immaginate ora la situazione di un ragazzo gambiano che arrivi in Italia; il suo viaggio verso l’Europa è durato un anno e mezzo. Ha passato sette paesi prima di arrivare in Libia, per poi salire su uno dei tanti barconi della speranza. Giunto a Palermo, spera di iniziare la sua nuova vita. Parla la sua lingua madre, l’inglese e diversi altri dialetti africani, ma non l’italiano. All’arrivo, qualcuno che riesce a comunicare con lui c’è. Ma poi viene trasferito in un centro e poi in un altro ancora e in nessuno dei due trova qualcuno con cui parlare. Nessuno che sia in grado di comunicare almeno in inglese. E quando il ragazzo lo fa presente ai responsabili del centro, la risposta standard che viene data è: “Sei in Italia, qui si parla l’italiano, impegnati ad impararlo!”. Non ci sono dubbi sul fatto che imparare l’italiano sia importante per i ragazzi e le ragazze dei centri sparsi per l’Italia. E’ importante anche per quelli che hanno intenzione di lasciare l’Italia, una volta che sono riusciti ad ottenere i documenti necessari per farlo; una lingua, e’ pur sempre una risorsa. E non si può nemmeno pretendere che tutti gli Italiani parlino l’inglese o un'altra lingua così’ da poter comunicare con i migrati. Ma che quelli che lavorano dentro i centri conoscano almeno bene l’inglese, non penso sia tanto pretenzioso.

E’ così importante imparare la lingua locale che i centri sono soliti finanziare dei corsi di italiano. Molto spesso però, questi corsi non vengono tenuti. In un caso per esempio, un centro d’accoglienza a Piana degli Albanesi ha deciso di non dare più lezioni di italiano perché erano pochi i ragazzi che si presentavano alle lezioni. Ma è parlando con i ragazzi che emerge poi il motivo per cui avevano deciso di non frequentare più: il professore sapeva solo parlare l’italiano, risultando quindi faticoso da seguire. I ragazzi alla fine, imparano il minimo indispensabile d’italiano per tirare avanti. E i responsabili dei centri, quando si impegnano, spesso imparano solo qualche parola di inglese, il minimo per far passare le informazioni più importanti. Parlando con i ragazzi, si nota la loro disperata necessità di parlare, di condividere le loro opinioni, i loro pensieri, e qualche volta gli ostacoli affrontati per raggiungere l’Europa. Sono persone che hanno lavorato e rischiato tanto per arrivare in Sicilia. Si ritrovano a dover aspettare un sì o un no, che in un modo o nell’altro segnerà profondamente la loro vita. L’attesa di solito è molto lunga e non sono molte le attività che possono svolgere nel frattempo. Non dando i mezzi per comunicare ai ragazzi dei centri, noi isolani, che tanto ci vantiamo del nostro senso di ospitalità, abbiamo spesso creato e continuiamo a creare Persone-Isole su un isola.

Giovanna Fioravanti
Borderline Sicilia Onlus