mercoledì 6 maggio 2015

Morto il giovane ragazzo richiedente asilo investito sulla strada provinciale di Pian del Lago

Il giovane ragazzo che era stato investito lo scorso 10 aprile (Il Fatto Nisseno) sulla strada provinciale della frazione di Pian del Lago, non ce l’ha fatta. E’ morto lo scorso 20 aprile nel reparto di rianimazione dell’ospedale sant’Elia di Caltanissetta. Ne abbiamo potuto apprendere la notizia attraverso vie informali, soltanto 10 giorni dopo. Nessun organo ufficiale ha diffuso la notizia. Non la Questura e neppure la Prefettura hanno comunicato il decesso di un richiedente asilo, morto a causa di un investimento avvenuto sulla strada provinciale che collega il centro governativo di accoglienza, e l’Ufficio immigrazione della questura,  con il centro urbano di Caltanissetta.

Una strada pericolosa, senza marciapiede, né illuminazione, sulla quale già altre persone, tutte richiedenti asilo che vivono nel centro, erano già state investite.
Muhammad aveva 29 anni e veniva dal Pakistan. Si trovava a Caltanissetta da qualche mese e aveva ufficializzato la sua richiesta di asilo al suo arrivo, presso la questura nissena. In attesa di ricevere accoglienza,viveva in una casa diroccata adiacente al CARA, in modo da potersi presentare davanti al cancello nei 3 giorni settimanali in cui vengono gestiti gli ingressi di coloro che sono in lista d’attesa.
Il 10 aprile scorso, mentre percorreva la strada maledetta è stato travolto da un auto.
Sono seguiti giorni di silenzio in cui non era chiara la gravità delle sue condizioni di salute, fino a che, solo per voce di alcuni suoi connazionali che stavano organizzando una commemorazione in suo onore prima della rimpatrio del feretro verso il suo Paese, si è appresa la notizia.
Nel silenzio e nell’assenza delle istituzioni, i suoi amici e compagni hanno organizzato una cerimonia per dar l’ultimo saluto a Muhammad e questo è avvenuto nel parcheggio di fronte allo stadio.
Nessuna istituzione presente, nessuna parola di cordoglio è pervenuta ai suoi amici, nessun rappresentante del centro governativo ha partecipato alla commemorazione che si teneva a 30 metri dal cancello di ingresso, dove, per diverse settimane Muhammad si è recato per riuscire a ricevere accoglienza.
Numerose le persone presenti alla commemorazione, non solo Pakistani. Come scritto nel comunicato dello Sportello Immigrati “c’erano anche molti Africani e Afghani. C’era tutto il mondo. Mancava solo l’Italia”.
Anche chi non conosceva direttamente Muhammad ha partecipato a questa semplice e sentita cerimonia, per un comune senso di umanità, che, purtroppo, non pare essere poi così scontato. Forte l’empatia di molti dei presenti che vivono nel centro e in case abbandonate della zona circostante, anche per la consapevolezza del rischio che, ognuno di loro corre quotidianamente, nel transitare in quella strada insicura che sono costretti a percorrere se vogliono raggiungere la città.
Le uniche cittadine italiane a stringersi intorno al dolore ed ingiustizia di una morte annunciata per la pericolosità della strada, sono state le rappresentanti dello Sportello immigrati e una giornalista freelance.
Nel corso della commemorazione, che è durata diverse ore, perché si è atteso a lungo l’arrivo della salma, ha fatto capolino solo qualche giornalista, ma neanche l’ombra di un’istituzione.

Nella tristezza per questa morte e per la sconcertante solitudine e il silenzio istituzionale da cui è stata accompagnata, può aprirsi solo lo spazio per amare domande.

Questa volta non ci sono trafficanti da additare e missioni militari da invocare, come complici della morte dei migranti che tentano di raggiungere la fortezza Europa in modo da aggirare quelle che sono le reali responsabilità delle politiche migratorie italiane e comunitarie; e allora come va valutata la responsabilità di ciò che accade ai richiedenti asilo costretti a vivere ai margini della società, al di fuori del minimo di garanzia dei diritti fondamentali nella nostra carta costituzionale e nelle convenzioni comunitarie e dichiarazioni universali?

Per l’inaccettabile isolamento di un centro di accoglienza e dell’Ufficio immigrazione separato dal centro urbano da un pericoloso tragitto di 5 kilometri, sprovvisto di servizi di trasporto, illuminazione e marciapiedi,  possono ritenersi responsabili gli enti locali, gli uffici territoriali del governo e gli enti che gestiscono i centri governativi?
Se la risposta a questa domanda appare scontata, la domanda che ne consegue è: quando le suddette istituzioni prenderanno i provvedimenti necessari a garantire la sicurezza e l’incolumità di centinaia di persone che quotidianamente sono costretti a  percorrere quella strada?

E ancora, davanti ad una morte annunciata (e quindi evitabile) qual è la responsabilità di un ministero dell’Interno che istituisce centri per l’accoglienza di centinaia di richiedenti asilo ai margini della città e senza collegamenti? E quale la responsabilità della questura che vi trasferisce anche il suo Ufficio Immigrazione, costringendo chiunque vi si debba recare (ovviamente straniero) a percorrere un tragitto tanto pericoloso?

Di chi è la responsabilità della prassi ormai consolidata di costringere richiedenti asilo a dormire per settimane in luoghi di fortuna, prima di ricevere l’accoglienza, in un sistema che da 25 anni si regge esclusivamente sulla logica dell’emergenza?

Qual è, poi, la responsabilità della prefettura nel non includere (e quindi imporre), nel capitolato d’appalto per la gestione del centro di accoglienza, l’erogazione di un servizio navetta a disposizione degli ospiti, a fronte di un appalto triennale di 18.000.000 di euro?

Quale la responsabilità dell’ente gestore del centro di accoglienza che non assicura ai suoi ospiti la possibilità di uscire dall’isolamento spaziale e sociale in cui esso si trova?

Qual è invece la responsabilità dell’amministrazione comunale nel lasciare una strada che giornalmente viene percorsa da centinaia di persone priva di illuminazione e marciapiede e senza prevedere la copertura di corse del servizio di trasporto pubblico? Si tratta, tra l’altro, di una zona dove sorgono impianti sportivi frequentati da molti cittadini, che in questo modo possono raggiungere la zona solo con mezzi privati.

Le riflessioni che scaturiscono da queste domande e i relativi vuoti lasciati dall’operato delle istituzioni conducono ad un altro interrogativo: posto che le politiche dell’accoglienza mostrano da sempre la loro inadeguatezza nel rispetto dei diritti umani (è quindi delegittimata la loro stessa natura e esistenza) e,  tenendo conto che il centro governativo di Pian del Lago è attivo dal 1998, in tutti questi anni, come si sono impegnate le istituzioni per garantire quanto meno l’incolumità delle centinaia di persone che vivono nel centro di accoglienza e perché alcun rappresentante istituzionale era presente lo scorso giovedì?

Cosa sarebbe accaduto se le gravi  carenze strutturali di quella strada e la mancanza di un servizio di trasporto pubblico in una zona abitata da centinaia di persona, avesse causato la morte di un cittadino italiano?Che ruolo avrebbero assunto i rappresentanti istituzionali davanti a questa tragedia? Quali le parole spese di fronte a questa ingiusta morte? Che ruolo avrebbero avuto la stampa, le associazioni locali e la cittadinanza?

E tra tutte le domande, torna quella di sempre: com’è possibile che, a distanza di decenni, si continuino a perpetuare politiche immigratorie e (le derivanti) pratiche di accoglienza che creano cittadini di serie A e cittadini di serie B, a dispetto di una Carta costituzionale che garantisce a tutti gli uomini i diritti fondamentali e la pari dignità sociale, richiamando il ruolo delle istituzioni nel rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitandone l’eguaglianza, impediscono il pieno sviluppo della persona umana?
Questi principi fondamentali del nostro ordinamento sono troppo spesso disattesi quando si tratta di tutelare le categorie più vulnerabili, tra cui, appunto, quella dei richiedenti asilo.

Giovanna Vaccaro
Borderline Sicilia Onlus