mercoledì 24 settembre 2014

I festini agricoli

Da Terrelibere
DI ANTONELLO MANGANO
Provincia di Ragusa, serre a perdita d’occhio e latitudine a sud di Tunisi. Buona parte dei pomodori che arrivano sulle nostre tavole si produce qui. Magrebini e rumeni lavorano nelle serre. D’estate diventano forni. Pieni di veleno. Uomini e donne. Vi sento distratti. Diritti sul lavoro, un argomento noioso. Se invece vi parlo di pomodorini, sesso e aborti? Ecco, ora vi sento più attenti. E cosa sono i “festini agricoli” nelle campagne?


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Ci sono donne che sfruttano altre donne. Sette giorni su sette, per conto dello stesso padrone. La mattina delle caporali inizia alle quattro. E anche la nostra. Un pulmino ci carica, siamo venti ragazze, tutte rumene. Andiamo a raccogliere i famosi pomodorini di Pachino o le zucchine nei tunnel, piccole serre alte 80 centimetri. D’estate diventano una fornace. Un giorno pioveva e ci siamo rifiutate. Allora la caporale, sicuramente molto ingenua, si è rivolta al sindacato. È andata alla Cgil per chiedere aiuto: «Le braccianti non vogliono lavorare per il fango che si è formato nei campi». Il sindacato è intervenuto, ma ovviamente contro la caporale, che non aveva idea di fare un’azione illegale. Per il suo “lavoro” aggiuntivo guadagnava cinquemila euro l’anno, pagate dalla ditta, e tanto le bastava.
Qui in Sicilia ci sono anche aziende del Nord. Pagano 40 euro al giorno, ma a volte in ritardo e mai lo straordinario. Se arriviamo tardi, il padrone detrae mezz’ora di paga oraria e per tre giorni non ci chiama al lavoro. Sono furbi, questi del nord. Applicano il contratto provinciale di lavoro di Chieti che prevede una paga più bassa rispetto a quello del siracusano. Nell’agricoltura le condizioni dei salari si stabiliscono su base provinciale, ma conta la sede legale della ditta.
I guanti e le mascherine per ripararci dalle inalazioni dobbiamo comprarceli da soli, il padrone ha stabilito così. Qualche anno fa è morto un siciliano impegnato nella raccolta delle zucchine. Infarto, ha fatto sapere l’azienda. Ma noi pensiamo ancora che è morto di anticrittogamici. Li respiriamo spesso, dentro i tunnel di plastica. A me, per fortuna, ancora non è successo niente. Anche se dovrei controllarmi da un medico. Un giorno o l’altro devo andarci.
Vi sento distratti. Salute sul lavoro, un argomento noioso. Se invece vi parlo di pomodorini, sesso e aborti? Ecco, ora vi sento più attenti. Se vi parlo dei “festini agricoli”? Succede anche questo. Siamo tante, partiamo dall’Est e veniamo a lavorare nelle campagne siciliane. Quasi sempre nella fascia trasformata, l’enorme distesa di serre di plastica che serve a consegnare ai consumatori europei ortaggi in ogni periodo dell’anno. Con quelle serre hanno sconfitto le stagioni e si sono arricchiti, da Vittoria a Pachino, terra rossa a sud di Tunisi. Ma non hanno conquistato la dignità.
A volte cerchiamo lavoro verso l’interno, in provincia di Caltanissetta, tra carciofeti, vigneti e grano. Posti dove il mercato del lavoro si svolge nei bar dei paesi, entroterra. Qui non c’è nemmeno il caporale, ma è lo stesso titolare dell’azienda che viene a prenderci. Sono ditte piccolissime ma ci comprano a gruppi di dieci, donne comprese. Poi, dopo, tre giorni ci vendono a un’altra ditta. Così evitano denunce e controlli. Mi hanno detto che gli ispettori del lavoro sono solo due per un territorio sterminato. Come ci scelgono per lavorare? Provate a immaginare. I padroni si contendono le più carine. Intanto i prodotti agricoli, quelli che comprate quando fate la spesa, non costano un centesimo di meno. I nostri salari, invece, si sono dimezzati. La crisi non è uguale per tutti. Per esempio, non c’è crisi per chi vende giornate. Cos’è il mercato dei giorni?
I proprietari delle aziende fanno lavorare in nero gli stranieri, senza versare i contributi che, invece, vengono venduti ai falsi braccianti per 10-15 euro. Così, gli italiani, senza stare nei campi, avranno l’indennità previdenziale. Tutti ci guadagnano, tranne noi. L’azienda passa per quella che paga i contributi, il falso bracciante percepisce l’indennità di disoccupazione; lo straniero, invece, continua a lavorare senza tutele.
A me non è capitato, ma ne sento parlare sempre. So di rumene costrette ad allietare le serate dei padroni nelle campagne di Vittoria. Dieci euro per una serata di sesso col padrone e i suoi amici. Senza preservativo. Festini agricoli, li chiamano. Sommati alle otto ore di lavoro nei campi fanno trenta euro. Tutte conosciamo l’ospedale Guzzardi. Le mie amiche non ci vanno per controllarsi le vie respiratorie devastate dagli anticrittogamici, ma per abortire. Tutte abbiamo bene in mente la storia di una giovane diciassettenne che ha partorito un bambino, poi scaraventato dalla finestra di un appartamento. Siamo duemila nelle campagne. I tunisini ci odiano, lavoriamo per poco e gli togliamo lavoro. Le donne di qui ci odiano, dicono che gli rubiamo i mariti. A noi sembra di essere tornate in epoca feudale. La serva che garantisce la prima esperienza al padroncino.
Questi racconti sono tratti dal libro «Voi li chiamate clandestini», di Laura Galesi e Antonello Mangano, edizioni Manifestolibri [Scheda del libro]. Puoi ascoltarli su RadioTre Fahreneit