"Un amico mi ha detto che avrei trovato
lavoro, che avrei avuto modo di guadagnare qualcosa visto che devo far mangiare
mia figlia e mia moglie, dopo aver perso il lavoro a Roma dove vivo da molti
anni. Ma non mi aveva detto che sarei venuto in un inferno".
"Mi vergogno di
vivere in questo posto e mi vergogno di raccontarlo a mia moglie, e quindi
sorrido quando sono al telefono ma vorrei tornare, anche se so che non posso.
Quindi mi faccio sfruttare, mi faccio umiliare da voi italiani per pochi euro, almeno
potrò fare il regalo di Natale a mia figlia, nonostante siamo musulmani, ma lei
è nata qui e vuole festeggiare come tutti i bimbi. È italiana ma per voi siamo
solo extracomunitari e per questo possiamo fare solo gli schiavi; per favore
non mi fotografare, non vorrei che per sbaglio mia figlia o qualche mamma di
una compagna mi vedesse come sono in questo momento: verrebbe ancora più
emarginata."
Queste sono le parole di un padre, di uno dei
tanti incontrati nel nuovo paese sorto nella periferia di Campobello di Mazara.
Un paese in cui l'aria è irrespirabile e in cui le condizioni igieniche sono
pari a quelle di una discarica.
Poche persone hanno voglia di parlare, poche
hanno il coraggio di guardarti negli occhi per la troppa vergogna, pochi hanno
voglia di ascoltare per l'ennesima volta un "bianco" che chiede informazioni
sulle loro condizioni lavorative: l’ennesima umiliazione dopo le tante passate
in Libia o nei CAS.
La sensazione è di sconfitta dell'umanità
come in altri non luoghi. Anche Campobello segue i criteri e i dettami di una
legge criminogena che "produce" invisibili pronti all'uso, per
mantenere un'economia agricola che ormai si regge soltanto sui nuovi schiavi,
più o meno giovani, più o meno inseriti nella società italiana, ma sempre
schiavi.
La sensazione chiara è che abbiamo ucciso per
la seconda volta Ousmane, perché le condizioni di vita nella baraccopoli di
Erbe Bianche oggi sono peggiori, rispetto a quando Ousmane è stato ucciso
dall'incuria di una politica che guarda solo agli interessi dei produttori e
delle multinazionali delle olive e dell'olio.
Dopo tre anni di esperienza al campo dentro
l'ex oleificio di Fontane d'oro, quest'anno il prefetto e i comuni interessati
alla raccolta hanno fatto delle scelte vergognose. Tutti hanno temporeggiato in
attesa dell'arrivo delle persone, mentre la società civile tentava di trovare
soluzioni più dignitose. Invece si è scelto di non scegliere, e anzi, di
chiudere di fatto l’utilizzo dell'ex oleificio, rischiando di creare una guerra
tra i migranti per accaparrarsi i soli 250 posti che erano autorizzati
all'interno dello spazio, che ormai da tre anni era diventato la casa dei
raccoglitori di olive. Anche in questo la politica ha miseramente fallito,
mentre i lavoratori migranti, con una solidarietà sconosciuta oramai anche ai fantomatici
gruppi di lotta sociale sempre alla ricerca di notorietà e visibilità, hanno
deciso di non entrare e lasciare vuoto lo spazio.
La scelta è stata dettata dal fatto che solo un
numero esiguo poteva accedere, lasciando più di mille persone fuori. In ogni
caso le condizioni per poter accedere sono del tutto irreali per molti. Siamo
curiosi di sapere dal sindaco come siano stati spesi i 52mila euro di fondi
pubblici ricevuti per l'accoglienza dei lavoratori stagionali, visto che l'ex
oleificio – quando siamo entrati - era completamente deserto, con i bagni e le
docce sempre più sporche e con l'acqua fredda come sempre. 52 mila euro per una
ringhiera? È l'unica cosa visibile che circonda l'edificio che oggi ospita uno
Sprar.
Tante sono le domande che restano senza
risposta, perché la visione della baraccopoli lascia veramente interdetti, e la
consapevolezza che questo sia voluto da un’istituzione, ci lascia ancor più
l'amaro in bocca. A Erbe Bianche, ormai famosa contrada di Campobello,
l'umanità finisce, e ci chiediamo come questi ragazzi, uomini, donne riescano a
sopportare anche queste umiliazioni, dopo tutto quello che hanno passato.
"Sono un ingegnere di 58 anni, sono sudanese
e da 19 anni vivo a Roma. Come vedi vivo in una macchina che uso di giorno per
raccogliere legna e riscaldare l'acqua, che poi vendo a 50 centesimi il
secchio. Non riesco più a raccogliere le olive, e mi sono inventato questo
servizio, altrimenti i miei amici morirebbero di freddo. Non abbiamo acqua, non
abbiamo luce, e con 4 teloni e 4 assi di legno mi sono costruito le docce, che
sono meglio di quelle del comune, primo perché sono pulite e poi perché c'è
l'acqua calda. E poi senti che odore, quei bagni chimici che vedi sono qui da
più di un mese e nessuno mai è venuti a pulirli. Rischiamo di tornare a casa
nostra con delle malattie. Come pensate che 20 bagni chimici possano restare
puliti con 1800 persone che vengono sporchi dalla campagna? Un bagno per 90/100
persone. Non è civile".
Non possiamo contraddire D. e proseguiamo il
nostro giro dentro il paese di Erbe Bianche nel comprensorio di Campobello, in cui
troviamo il tabaccaio, i ristoranti etnici, il fruttivendolo, il negozio di
scarpe e vestiti, il carnezziere e anche il barbiere. Una piccola città sporca,
maleodorante e abbandonata in cui troviamo tanti minori stranieri non accompagnati
che lasciano le comunità in cui sono posteggiati o minori che arrivano dal nord
per dare una mano ai genitori che hanno perso il lavoro. La maggior parte sono
senegalesi ma è forte la componente di nord africani, qualcuno ancora con la
tuta dello sbarco in occasione del quale ha ricevuto la notifica del “seven days”.
C'è proprio di tutto, non ci facciamo mancare niente: neanche le ragazze
nigeriane che vengono fatte prostituire in una delle tende da qualcuno che ha
pensato bene di sfruttare anche questa occasione per fare soldi. Una città che
è completamente al buio, in cui la notte scende prestissimo e in cui le
discriminazioni sono all'ordine del giorno.
La gente del luogo fa scattare il coprifuoco
dal tardo pomeriggio, e così i migranti sono gli unici che girano per Campobello
per spendere i pochi soldi che guadagnano nei bar, nei negozi del paese, e
nonostante ciò, il razzismo è comunque forte.
Anche quest'anno c'è il netto rifiuto di
affittare case ai neri. Manca un servizio medico adeguato e l'ambulanza non
risponde alle chiamate in modo celere. I ragazzi ci hanno più volte raccontato
di brutti episodi ed in uno siamo stati presenti noi: abbiamo potuto verificare
che non rispondevano alle chiamate dei migranti, mentre hanno risposto
immediatamente quando abbiamo chiamato noi. L'ambulanza è arrivata in 10 minuti
(loro provavano da almeno 2 ore). Appena giunta l’ambulanza, l'autista e
l'infermiere hanno fatto salire la signora che stava male ed erano stufi di
fare il "servizio taxi a ‘sti nivuri
(questi negri, ndr) che non hanno
niente". Solo la nostra presenza ha evitato che si scaldassero gli animi
di gente esasperata e stanca, chiedendo all’autista di fare solo il suo dovere
e lasciare al medico la valutazione. Per la cronaca poi la signora è stata
ricoverata per problemi pressori.
F., anche lui senegalese, ci dice : "Non
verrò più. Arrivo da Borgo Manero dove lavoro in campagna, e visto che per il
momento non c'è lavoro sono venuto per la prima volta qui per lavorare, ma 3
euro a cassetta non è lavoro, è schiavitù, e vivere in queste condizioni è
veramente impossibile. Faccio un'altra settimana e vado via da questo
inferno".
3 euro a cassetta significa che i prezzi
rispetto allo scorso anno si sono abbassati, grazie proprio a questo abbandono
istituzionale, funzionale ad un maggiore sfruttamento dei lavoratori migranti
per favorire i soliti noti: un abbandono istituzionale che ha creato le
premesse per la nuova schiavitù.
"Sono qui in attesa del rinnovo del
permesso di soggiorno. Aspetto da due mesi, ancora non mi hanno chiamato e devo
pur vivere. Perché passa tanto tempo anche per un rinnovo? Non è possibile, si
sta malissimo, c'è freddo, viviamo in mezzo al fango e ancora devo
aspettare". Abbandono istituzionale, ritardi burocratici che hanno visto
sviluppare all'interno della nuova baraccopoli altri tipi di sfruttamento ed
economia sommersa, come quella dei contratti fasulli, delle residenze fittizie
per poter rinnovare il permesso e altre vie che favoriscono solo il business
legato alle migrazioni.
Mentre stiamo per andare via, attraversiamo
nuovamente il paese tra eternit, carcasse di animali e fango, passando fra
nigeriani, senegalesi, tunisini, gambiani. Tutti ci chiedono anche di aiutarli
a sistemare i permessi, e qualcuno che non ci conosce, si offre: "Io
voglio lavorare, sono giovane e mi accontento di tutto”. Purtroppo deludiamo S.,
giovane senegalese di 18 anni che arriva da Milano. Ha finito il liceo e non ha
la possibilità di andare all'università. Parla benissimo italiano ed è venuto
per aiutare la madre e i suoi due fratelli più piccoli. S. non ha detto alla madre
dove vive e che lavoro fa, le ha detto soltanto che è con tanti amici.
Sì, 1799 amici, che si aiutano e si
rispettano, ma che non sono rispettati da noi, che li vogliamo schiavi: i nuovi
schiavi.
E mentre andiamo via, molti tornano dalla
campagna a piedi o sui camion dei contadini che gli danno appuntamento nella
piazza del nuovo paesino, per altre 14 ore di lavoro filate per 3 euro a
cassetta.
Ricordiamocelo quando andiamo nei
supermercati, che spesso il nostro olio è intriso del sudore e del sangue dei
nuovi schiavi.
Alberto Biondo
Borderline Sicilia Onlus