mercoledì 5 luglio 2017

“Partono uomini, arrivano fantasmi”. Naufragi e respingimenti in mare. L’Italia chiude le porte anche a chi riesce ad arrivare

Il 12 giugno è sbarcata a Catania una nave svedese dell’assetto Frontex, con a bordo 356 migranti e 8 salme. I sopravvissuti parlano di decine di dispersi e della rottura del gommone sovraffollato su cui viaggiavano stipati all’inverosimile. Solo pochi giorni dopo, un gruppo di migranti sudanesi riferisce di un barcone spezzatosi dopo due giorni di viaggio da cui si sarebbero salvate solo una decina di persone. Altri profughi riportano testimonianze di donne e bimbi siriani incontrati in Libia: erano appena stati “riportati” dalla guardia costiera locale al punto di partenza e raccontavano di aver visto altre piccole imbarcazioni di legno affondare. 


La nave della Guardia Costiera "Diciotti" al porto di Catania

Nell’ultima settimana sono arrivati cadaveri di donne, uomini, bambini e neonati uccisi dalle politiche criminali della Fortezza Europa. Proteggere i propri interessi economici, impedire ogni accesso legale e fortificare le frontiere significa condannare alla fame, alla violenza ed alla morte migliaia di persone. Contro i migranti si combatte una guerra da anni, tanto più spietata e crudele quanto più dissimulata dalle narrazioni istituzionali, che suonano sempre più ipocrite e manipolatorie nei confronti di chi si ritrova ad avere a che fare quotidianamente con la morte.


Ostacolare le partenze, alimentare altri traffici

“A Sabrata tutti conoscono il trafficante che gestisce le partenze e sanno che paga mazzette alla polizia per far partire le sue imbarcazioni. Spesso lui paga per avere il via libera per dieci gommoni ma poi ne fa partire 5, 7 o 10 in più, che sono quelli che verranno poi intercettati e rimandati indietro. Così uno si trova a rifare tutto daccapo: prigione, lavoro da schiavo, richiesta di soldi ai parenti e pagamento per un nuovo viaggio”. O. è arrivato in Italia due mesi fa ed ha provato per ben tre volte la traversata in mare. In Libia è rimasto sei mesi e ci dice che “basta un secondo per trasformarsi da uomo in carne da macello: è sufficiente un gesto, una parola o la follia di qualcuno per trovarti una pallottola in corpo e smettere di respirare”. O. aggiunge che potrebbe raccontare centinaia di scene in cui “giravano soldi, i libici pagavano la polizia, corrompevano persone legate alla guardia costiera e ciascuno cercava così di portare avanti il proprio business”, sempre e comunque a spese di chi non ha altra scelta per partire. 

La Guardia Costiera libica, ma anche altri mercantili ed imbarcazioni, riportano i migranti nei centri da cui sono appena fuggiti dove l’unica possibilità data è quella di ritentare il viaggio, mentre si fanno sempre più insistenti le voci di accordi per riportare sistematicamente profughi in Niger e in altri paesi vicini. 

Le manovre di respingimento alimentano nuovi traffici e rendono le condizioni di sopravvivenza in Libia sempre più insostenibili, anche se è difficile pensare a situazioni peggiori di quelle già esistenti. I segni di violenza e torture si imprimono sui corpi e sono onnipresenti nelle testimonianze di chi approda. Molte volte sono proprio i più giovani i primi a raccontare.


L’Italia è un paese che rispetta i diritti umani?

Le sofferenze non finiscono però in Libia. Centinaia delle persone soccorse arrivano nei porti di Augusta e Catania e sono costrette a passare intere giornate e notti a bordo prima di poter toccare terra. Succede anche che alcuni decidano di buttarsi in mare per richiamare l’attenzione sul proprio stato di sfinimento, come è accaduto al porto di Pozzallo lo scorso 25 giugno.  I medici e gli psicologi delle organizzazioni non governative denunciano segni di abusi sempre più evidenti già all’arrivo ma il tempo e lo spazio necessario a garantire una tutela adeguata spesso non esiste. C’è un sistema di “polizia” più che di “accoglienza”, che continua a cercare tra chi sbarca i “presunti scafisti” da dare in pasto all’opinione pubblica.


La nave Phoenix a Pozzallo (RG)

Anche durante gli ultimi numerosi sbarchi abbiamo assistito alle operazioni di investigazione effettuate già in banchina, spesso con una velocità sorprendente, che fa temere l’avvio delle indagini anche in mare. A volte l’individuazione di potenziali testimoni e presunti scafisti è infatti ancora più rapida del solito, come abbiamo verificato durante le operazioni di discesa dei migranti dalla nave Phoenix nello sbarco del 20 giugno a Pozzallo. La legittimità di alcune prassi rimane dubbia ma risulta invece molto chiara la volontà di continuare a perseguitare i testimoni e non fermare i colpevoli.


Pozzallo - 20 giugno - Nave Phoenix: comincia lo sbarco

I cittadini nordafricani, soprattutto di nazionalità marocchina, continuano ad essere respinti a centinaia, con provvedimenti spesso tradotti solo oralmente nella loro lingua madre. In queste settimane abbiamo incontrato e parlato con alcuni di loro nei pressi della stazione di Catania, che avevano tra le mani un decreto di respingimento differito tradotto per iscritto solo in francese, sebbene la maggior parte di loro parlasse esclusivamente arabo. Tra i diversi gruppi di cittadini marocchini respinti, segnaliamo anche la presenza di due donne vulnerabili lasciate per la strada a Palermo e completamente abbandonate a sé stesse. L’unico supporto che hanno ricevuto è stato quello di alcuni volontari che con determinazione cercano di garantire ad ognuno tutela e solidarietà umana. In questo sistema nega ai “migranti economici” anche i diritti fondamentali! 

“Arrivano in condizioni sempre peggiori, ci mandano dei fantasmi, non delle persone. L’ultima volta dal porto sono arrivati decine di ustionati, come se fossimo un ospedale. Qui vengono registrati e suddivisi in gruppi, poi inizia la confusione. In passato è capitato che arrivassero pure mille persone per volta, non so se rendo l’idea di cosa può significare”. P. è un operatore che lavora al Cara di Mineo e ci parla dei profughi con gravi segni di ustione, portati direttamente dal porto di Catania al Cara circa un mese fa. “Il porto di Catania si distingue per la confusione e la casualità nei trasferimenti", continua l’operatore, “quando non si sa dove mandare le persone, la scelta cade sempre su Mineo”. Anche gli spostamenti verso mete più lontane non sembrano essere effettuati in condizioni migliori. 


La nave Fiorillo approda a Catania

Solo pochi giorni fa, il 27 giugno, un gruppo di cittadini bengalesi arrivati a Catania a bordo della nave Fiorillo sono stati trasferiti all’hub di Bologna: dopo lunghe ore di attesa al porto ed un estenuante viaggio in autobus durato tutta la notte, anche a loro è toccato sperimentare tutta la precarietà di un sistema in perenne “emergenza”, in cui per far fronte al cronico sovraffollamento si ricorre sistematicamente all’uso di tensostrutture esterne ai centri. Gli attori in campo si rimpallano le diverse responsabilità e non arrivano a denunciare in modo chiaro l’inadeguatezza di un’ organizzazione che non può far fronte alla realtà dei fatti. 

Persone sotto shock, feriti da armi da taglio e da fuoco, vittime di violenze ed abusi sessuali: queste sono le condizioni dei migranti giunti negli ultimi giorni in tutti i porti siciliani e non solo. In risposta a tutto ciò, il governo italiano avanza richieste alla Commissione Europea, facendo emergere chiaramente i diversi progetti a cui lavora da mesi. E’ infatti evidente come la proposta di imporre un controllo maggiore sulle operazioni delle navi delle ONG, e l’ipotesi di negare ad alcune l’accesso ai porti italiani, rimandi alla volontà di fortificazione, militarizzazione ed esternalizzazione delle frontiere in Libia sul modello dell’accordo stipulato con la Turchia nel marzo del 2016, del quale ancora oggi vediamo le drammatiche e disumane conseguenze sulla pelle dei migranti.

Oggi i media di tutta Europa hanno l’occhio puntato sulla riunione dei Ministri degli Interni Ue prevista per il prossimo giovedì, e si chiedono quali saranno le prossime mosse dei diversi attori in scena.

Due giorni fa, altre 9 salme di migranti sono giunte al porto di Catania. Sulle coste meridionali e settentrionali del Mediterraneo Centrale, si continuano a contare i morti ed i fantasmi di una guerra che si combatte ogni giorno nel silenzio dei media e contro cui è necessario opporre una resistenza sempre più forte.


Lucia Borghi

Borderline Sicilia Onlus