“Se ti imbarcano i militari puoi stare tranquillo che il tuo viaggio continuerà fino all'arrivo dei soccorsi internazionali; se a buttarti su un gommone non sono uomini in divisa, è molto probabile che appena preso il largo si avvicineranno altri predoni per derubarti di tutto e rispedirti da dove sei venuto. Ho tentato la traversata tre volte, e solo all'ultimo tentativo ho raggiunto la Sicilia dopo quattro giorni”.
Oggi anche le previsioni pronunciate con certezza da A. vengono smentite da accadimenti al limite di ogni decenza: mentre scriviamo apprendiamo la notizia del respingimento di circa 570 migranti riportati dalla Guardia Costiera Libica verso le coste da dove erano partiti, ed il contestuale accertamento di altri naufragi con nuovi morti e dispersi. La Guardia Costiera Libica lancia accuse ed intimidazioni alle navi delle ONG, mentre effettua respingimenti collettivi verso i centri libici in cui sono documentati abusi di ogni sorta e dai quali i profughi hanno cercato disperatamente di allontanarsi attraversando il mare.
“Quando sono salito sulla nave che mi ha recuperato sono passate alcune ore prima che mi rendessi conto di essere finalmente al sicuro. Abbiamo aspettato i soccorsi per quasi un giorno, e mi sono ritrovato tra persone che cercavano compagni di viaggio o raccontavano di averli visti morire”. L. è sbarcato il 29 maggio a Catania, a bordo della San Giusto, insieme a più di 900 persone e 10 cadaveri: tra questi c’era anche quello della madre di due bambini di 3 e 4 anni, arrivati sulla stessa nave. Una settimana dopo è toccato ad una bimba di soli 15 mesi a subire la stessa sorte, sbarcata a Trapani insieme al cadavere della madre deceduta nella traversata. Nei giorni in cui tutto il mondo ha tenuto lo sguardo puntato sui potenti dei G7 riunitisi in una Sicilia blindata, al largo delle coste si consumavano altri naufragi con decine di dispersi e morti, tra cui diversi bambini. Ci si ritrova a fare la conta di orfani, vedove, superstiti, tra l’indifferenza agghiacciante dei media e dei comuni cittadini, che sembrano stare alla larga dalle notizie più tragiche per non doverci fare poi i conti. Sono 8 le vittime degli ultimi naufragi sbarcate solo ieri a Catania, mentre tutta la Sicilia e alcuni porti della Calabria vedono l’arrivo di altre salme e nuovi scampati alla morte in mare.
L’importanza del passaggio in frontiera
Chi ci governa è invece pienamente consapevole delle dinamiche che portano a queste stragi, ed è molto “interessato” alla questione dei migranti. È così che l’Italia rafforza gli accordi con la Libia, si investono miliardi di euro per implementare nuovi dispositivi di “sicurezza” e controllo dei confini esterni e si pagano i paesi di transito ed origine perché collaborino al confinamento dei migranti, considerati alla stregua di numeri, merci, corpi e non persone. Salvare vite non sembra essere una priorità, ma troppe morti possono destare scalpore, quindi meglio far fare ad altri il lavoro sporco per cui noi potremmo essere condannati mentre cerchiamo sempre più di modellare la legislazione sui nostri interessi, a colpi di decreti. La nuova legge Minniti-Orlando è chiaramente finalizzata al respingimento, al rimpatrio ed alla fabbrica di nuovi irregolari sul territorio italiano; le future discussioni programmate a livello europeo si focalizzeranno sull'esternalizzazione dei confini e le riammissioni, mentre la Libia rischia seriamente di diventare per l’Italia un paese terzo sicuro, dove rimandare anche i richiedenti asilo.
Progressivo smantellamento dello stato di diritto, prassi finalizzate ad identificare e selezionare nel modo più veloce possibile i migranti cosiddetti “economici” e quelli passibili di espulsione, allontanamento o respingimento. In questo scenario il momento dell’approdo assume un’ importanza sempre maggiore. “Trovare da mangiare o dormire non è difficile. Quello che voglio è capire”: questa frase ci viene ripetuta regolarmente dai profughi che si trovano nei centri o fuori dall'accoglienza istituzionale. “Ho scoperto che le mie impronte sono in un database europeo solo tre giorni fa, quando sono arrivato al campo di Como. Sono sbarcato in Calabria la settimana scorsa, mi hanno identificato e poi lasciato libero di andare”, ci dice C. che incontriamo nei pressi della stazione centrale di Milano. “Io sono stato per tre mesi in un centro, e la storia delle impronte non l’ho sentita da nessuno” ci spiega ancora M, che a Milano è invece arrivato all'inizio di questa primavera. Per poter dare informazioni in modo corretto ed esaustivo ci vuole tempo, si deve parlare una lingua comune e l’instaurarsi di un legame di fiducia può fare in molti casi la differenza. Dicendo questo ci accorgiamo di come il diritto all'informazione del migrante sia ancora poco regolamentato e tutelato e spesso confuso con l’implementazione di strumenti di supporto all'informazione stessa. D’altra parte, l’approccio “emergenziale” con cui è stato gestito il fenomeno migratorio in questi ultimi anni, dimostra chiaramente come l’obiettivo degli attori coinvolti scivoli facilmente da quello che rimane impresso sulle carte, cioè la tutela individuale del migrante, a quello che possiamo semplicemente definire come il mantenimento dello status quo, per trarne maggiore profitto e rinforzare le differenti posizioni di visibilità e potere.
Il rispetto e la conoscenza dei propri diritti e doveri cambia in modo decisivo a seconda del porto di arrivo, del personale presente e del luogo di destinazione. Ne sanno qualcosa i migranti sbarcati ad Augusta, che spesso sono costretti ad aspettare più di un giorno per scendere dalla nave già arrivata in banchina, mentre lo sbarco procede seguendo i ritmi imposti dalle indagini e dalle operazioni di controllo, invece che rispondere prioritariamente alle esigenze di tutela umanitaria di chi è appena sopravvissuto ad un naufragio. In banchina subiscono trattamenti decisamente diversi anche coloro che vengono già bollati come presunti scafisti o passibili di respingimento, mentre succede che chi si trova a toccare terra per ultimo, quando molti operatori delle organizzazioni hanno già raggiunto l'hotspot, viene spesso perquisito ed interrogato con maggiore accanimento e nessun riguardo, come è successo a Pozzallo durante l’ultimo sbarco della nave Golfo Azzurro. “Ci sono troppi soldi che si fanno sulla pelle dei disperati”, ci ha detto una volontaria che ha assistito con noi a queste scene che ci fanno toccare con mano quali sono le conseguenze reali delle politiche decise a tavolino; la tutela è affidata al caso ed alla fortuna, nessuno garantisce l’applicazione delle leggi.
L’altro lato della criminalizzazione
“Colpevoli” di solidarietà o di svolgere un lavoro di tutela: oggi informare i migranti sui propri diritti o compiere il proprio dovere che consiste nel soccorrerli o supportarli diventa sempre più difficile. La campagna diffamatoria contro le ONG che stanno in mare sta raggiungendo ormai i livelli più bassi, ma ad essere presi di mira sono sempre più anche avvocati, operatori, attivisti o semplici cittadini che in realtà non fanno nient’altro che adempiere al loro dovere e rispettare i principi di giustizia sociale contemplati dalle convenzioni internazionali e dalla nostra Costituzione.
È del 12 maggio scorso la prima comparsa sulla scena siciliana del gruppo di estrema destra denominato “Generazione Identitaria”, che con un gommone cerca di ostacolare la partenza della nave Aquarius di SoS Mediterranèe e Msf dal porto di Catania. Un movimento formato da giovani e giovanissimi ragazzi italiani e austriaci che ha contatti in diversi Paesi Europei e ha già avviato una promettente raccolta fondi con l’obiettivo di fermare “l’invasione dei migranti in Europa” scagliandosi principalmente contro l’operato di ONG impegnate nei salvataggi in mare. I loro leader si stanno riunendo in questi giorni in diverse città italiane, suscitando l’indignazione di antifascisti ed antirazzisti che non hanno fatto attendere le prime reazioni, a partire dalla città di Catania. Chi fa leva sulla mancanza di una memoria storica e collettiva e fomenta la rabbia dei “poveri contro i poveri”, trova sul campo chi gli si oppone quotidianamente cercando di ricordare da dove vengono i migranti accusati di “invaderci” e di dare anche a questi ultimi la dignità e la possibilità di autodeterminarsi che il nostro sistema troppo spesso non garantisce.
L’inasprirsi delle campagne di criminalizzazione, diffamazione e dissuasione ci rende consapevoli del potenziale insisto nelle azioni di solidarietà, spesso invisibili, che devono sempre più riconoscersi e rafforzarsi a vicenda. “Oggi ci vuole coraggio pure per fare bene il proprio lavoro”, ci ha detto l’operatore di un centro di prima accoglienza, “rimanendo fedeli al compito che ci è stato assegnato sulla carta”. In questo senso, da chi arriva non possiamo che prendere esempio: “i motivi per cui ho lasciato il mio paese sono tanti, ma posso semplicemente riassumerli dicendo una cosa che non viene considerata ma è quella più vera, cioè cercare una vita migliore e libera” ci dice C., che in Eritrea ha passato metà della sua vita costretto a fare il militare, “io non ho avuto scelta, ma sicuramente coraggio. E questo mi è indispensabile anche qui in Italia, un paese democratico che rispetta i diritti umani”.
Lucia Borghi
Borderline Sicilia Onlus