lunedì 1 maggio 2017

Giorni di populismo giudiziario. Cosa si vuole nascondere dietro la criminalizzazione della solidarietà

A-dif.org - La polemica sulle esternazioni del procuratore di Catania Zuccaro sulle connivenze tra ONG e trafficanti di esseri umani sta raggiungendo i più alti vertici istituzionali. Non è bastato che venisse dimostrato come la fonte stessa delle prime insinuazioni, l’agenzia Europea Frontex, fosse stata largamente fraintesa e poi le abbia sostanzialmente ritrattate. Come ha osservato l’ex Presidente del Consiglio Enrico Letta, se si tratta di contrastare fattori di attrazione (pull factor), che non si traduce certo nella contestazione di un reato, lo stesso attacco rivolto oggi alle ONG venne sferrato da Frontex, alla fine del 2014, contro l’operazione Mare Nostrum ed i vertici della Marina e della Guardia Costiera italiana.


Oggi il Presidente del Senato Pietro Grasso aveva espresso a Repubblica il suo punto di vista con grande chiarezza. «Mi pare un po’ fuori dall’ordinamento che un magistrato, un procuratore, si possa pronunciare ancora prima che si facciano le indagini”. “Gli strumenti investigativi ci sono  il problema è che bisogna saperli utilizzare e trovare le prove. Poi, quando si è conclusa l’istruttoria, forse si può rendere noto il suo esito. Ma mai prima». 

Il presidente del Senato aveva criticato anche i 5 Stelle. «Tutto questo è stato strumentalizzato da una parte politica che è contro l’accoglienza e l’integrazione e questo fa male. Bisogna comprendere quale può essere la strumentalizzazione di dichiarazioni fatte magari in buonafede, in un momento particolare in cui vuoi mettere sull’avviso di un pericolo, di un rischio, e poi queste parole vengono strumentalizzate. Una persona che ha un incarico istituzionale deve anche prevedere quelle che possono essere le strumentalizzazioni delle proprie dichiarazioni». Grasso aveva poi concluso: «Il problema è che chi cavalca quelle dichiarazioni poi difende la fonte di quelle dichiarazioni. Ma bisogna scindere il problema politico dal problema giudiziario e delle indagini, sono due aspetti assolutamente diversi».

 È immediatamente partito un attacco dei pentastellati nei confronti della seconda carica dello stato e ancora Grasso, nel pomeriggio di sabato, replicava con un post su Facebook sul quale occorre davvero riflettere, per capire fino a che punto è arrivato il degrado del confronto politico-istituzionale nel nostro paese, sotto la spinta di una opinione pubblica aizzata quotidianamente dai grandi media contro i migranti e chi li soccorre. Ribatte il Presidente Grasso con parole molto dure: «Nessuno – il Governo, un blog o una impresa privata – ha mai nemmeno provato a suggerirmi cosa pensare o dire. Anni di magistratura mi hanno insegnato abbastanza per avere una opinione fondata sui temi della giustizia, delle indagini, e di quando è opportuno che un procuratore parli delle sue informazioni, se suffragate da solidi elementi probatori. Caro Luigi Di Maio, sei giovane, ma faresti bene a ricordarti che a tutte le età si può e deve imparare. Hai già dimostrato più volte di avere grosse lacune in storia, geografia e diritto: qualche lezione ti sarebbe utile».

Intanto nei siti dei cinque stelle circolano dichiarazioni di sostegno alle iniziative giudiziarie(annunciate) della procura di Catania. Non sono ancora rinvenibili significative manifestazioni di dissenso interno. L’ordine del capo è seguito anche da parlamentari europei che in passato avevano dimostrato coraggio ed indipendenza.

Sembrerebbe quasi che solo il procuratore Zuccaro abbia scoperchiato una pentola che qualcuno voleva tenere ben chiusa, ed addirittura si fa un parallelo tra le indagini (annunciate) della procura di Catania sulle ONG che soccorrono i migranti a nord della Libia, con le inchieste su mafia capitale e con le attività istruttorie condotte contro la mafia negli anni ’90, da parte di magistrati del calibro di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Magistrati che hanno pagato con la vita per il loro impegno e per il loro isolamento. Nomi che oggi andrebbero rispettati senza essere utilizzati in questo tipo di polemiche.

Ha fatto bene Peppino Di Lello, già componente del pool antimafia di Palermo,  a spiegare con grande chiarezza come non sia possibile instaurare alcun collegamento tra le indagini antimafia che si conducevano negli anni ’90 (del secolo scorso), e le indagini di oggi contro le Organizzazioni non governative, indagini “annunciate” ma ancora prive di atti istruttori certi, sui quali gli accusati possano fare valere i loro diritti di difesa, indagini scaturite da iniziative di servizi segreti stranieri e di Frontex, e poi sostenute da un ampio schieramento politico e mediatico, e in sintonia con le pulsioni più violente del populismo.

Anche Magistratura democratica ha preso posizioni molto chiare con un no secco “a scorciatoie antigarantiste nelle indagini sulla tratta dei migranti”

Malgrado posizioni minoritarie di alcuni organi di stampa come l’Osservatore Romano, anche la Chiesa chiede chiarezza ed atti certi alla magistratura.

Nonostante queste autorevoli prese di posizione si ha l’impressione che una diga si sia frantumata. La diga della solidarietà. Gli operatori umanitari ed i cittadini solidali sono sempre più sotto attacco, anche chi si è limitato a rilanciare una telefonata di soccorso. Qualcuno sembra lamentarsi del fatto che non si possano eseguire sequestri ed arresti sulla base delle indagini portate avanti in base ad informative dei servizi segreti tedeschi ed olandesi.  Evviva lo stato di diritto.

E sull’operato delle ONG, con una distinzione tra buoni e cattivi che non appare ancora suffragata da alcuna risultanza probatoria certa, si addensano sospetti che sanno di una condanna già scritta. Una condanna che si basa sulle reazioni dei servizi segreti, ed adesso la procura di Catania chiede al governo di adottare provvedimenti che le rendano rilevanti anche ai fini processuali. Davvero una concezione particolare dello stato di diritto e della soggezione del giudice alla legge, cardine della democrazia in un paese.

Ogni giorno che passa il populismo, diffuso soprattutto dalla Lega e dai vertici del movimento Cinque stelle, scatena contro i migranti e chi li soccorre una opinione pubblica, colpita dalla crisi economica ed in evidente stato confusionale, che scambia le cause con gli effetti. Si preferirebbe vedere annegare persone in mare, piuttosto che adempiere gli obblighi di soccorso. Non si vorrebbe consentire il loro trasferimento in un porto sicuro, che non è affatto, come sostiene la procura di Catania, quello più vicino. Stessa tesi sostenuta, guarda caso, dai vertici di Lega e Movimento cinque stelle.

Eppure nel movimento Cinque stelle qualcuno era stato anche a bordo di una delle navi umanitarie maggiormente sotto accusa e aveva espresso giudizi favorevoli sul suo operato. Sembrava chiaro che di soccorsi in collusione con i trafficanti libici non se ne poteva proprio parlare. Soltanto un abbaglio ovvero opportunismo politico? Oppure una amnesia?

E che le acque territoriali libiche siano “acque sicure”, come ha affermato il procuratore Zuccaro, è smentito dal numero dei morti che da anni si registrano in quelle acque quando ad intervenire, piuttosto che le navi umanitarie, sono le motovedette libiche.  Motovedette che spesso non sono neppure in grado di trasportare a terra tutti i naufraghi che devono essere soccorsi. Basta vedere le foto dei “soccorsi” operati da questi mezzi, ampiamente diffuse in rete. E non sarà molto diverso con le motovedette veloci restituite adesso dall’Italia. I libici, quale che sia la milizia alla quale appartengono, non hanno imbarcazioni abbastanza grandi per mettere in sicurezza i migranti che intercettano in mare, soprattutto se si permette loro di operare in acque internazionali.

La Guardia Costiera libica, ammesso che di guardia costiera unica si possa parlare in Libia, NON ha i mezzi per coprire la zona di ricerca e salvataggio che le convenzioni internazionali assegnano a quel paese. Da qui il dovere d’intervento a carico delle autorità responsabili delle zone SAR confinanti, a meno di non volere eludere con accordi truffa il contenuto sostanziale delle Convenzioni internazionali che affermano l’obbligo incondizionato di soccorso in mare.

Quando possono intervenire le navi umanitarie il numero delle vittime si riduce al minimo. esattamente come si è verificato nei giorni di Pasqua, quando a fronte di migliaia di interventi da parte delle ONG, nei pressi delle navi umanitarie ci sono state pochissime vittime, rispetto al numero enorme dei soccorsi operati.

Invece, come testimonia Erri De Luca, le vittime, e numerose, ci sono state, proprio in quegli stessi giorni di Pasqua che hanno destato scandalo, per l’eccezionale numero delle persone soccorse dalle ONG, a seguito del dirottamento di tre imbarcazioni, che sebbene fossero già in acque internazionali, sono state raggiunte da mezzi della Guardia Costiera libica e riportate indietro. Una di queste imbarcazioni, mentre era sotto il controllo dei libici si è ribaltata ed i morti sono stati decine. Se non ci fosse stata una nave delle ONG, e se non ne avesse scritto Erri De Luca, non lo avrebbe saputo nessuno. Per questo oggi si vogliono allontanare le navi umanitarie.

La sorte dei migranti “soccorsi” dalla Guardia Costiera libica è sempre più tragica e la Libia, o la parte modesta di territorio che rappresenta il governo di Tripoli, non può essere considerata alla stregua di un paese terzo sicuro con il quale concludere accordi di collaborazione per il blocco dei migranti in mare. È a tutti nota la condizione dei migranti riportati a terra e rinchiusi nei centri di detenzione libici, se non ceduti direttamente alle organizzazioni criminali dei trafficanti.

Intanto le anticipazioni sull’inchiesta condotta dalla procura di Catania e le strumentalizzazioni politiche che ne sono seguite hanno creato un enorme danno di immagine alle ONG che fanno soccorso umanitario in mare, anche per la impropria assimilazione alle cooperative coinvolte nello scandalo Mafia capitale, uno scandalo sul quale la stessa procura di Catania, forse, sarebbe potuta intervenire con maggiore incisività, risalendo fino al livello politico, almeno sul mega centro di accoglienza di Mineo, così vicino a Catania, prima che lo facessero altre procure, come quella di Caltagirone.

Per i prossimi mesi preoccupa che l’attacco mediatico alle Organizzazioni non governative possa sostanziarsi in iniziative giudiziarie portate avanti solo per dimostrare tesi precostituite, e quindi in un allontanamento delle ONG dalla zona di mare, in acque internazionali, nella quale più spesso avvengono i naufragi. Una zona che una  volta era presidiata anche da Frontex, quando, dopo la strage del 18 aprile del 2015, con centinaia di morti intrappolati dentro un peschereccio in fondo al mare, la Commissione Europea aveva deciso di estendere il mandato dell’agenzia, anche sulla base del Regolamento 656/2014, fino a 135 miglia a sud di Lampedusa e Malta. Praticamente fino al limite delle acque libiche, dove ancora lo scorso anno si trovava stabilmente la nave SIEM PILOT di Frontex. Oggi nessuno può ritenere di basare i soccorsi in acque internazionali a nord della Libia sull’intervento delle motovedette libiche e sulle azioni di salvataggio condotte dalle navi commerciali.

Un impegno oggi profondamente ridimensionato, con tutti gli sforzi che, per combattere quella che viene definita immigrazione “illegale”, si sono trasferiti nel tentativo di estromissione delle ONG, come obiettivo per la “dissuasione” delle partenze, quale che possa essere il costo di questa scelta disumana, in termini di vite umane.

Le preoccupazioni più grandi per gli sviluppi futuri delle attività SAR ( Search and rescue) nelle acque del Mediterraneo centrale vengono anche dalla consegna, meglio restituzione, in corso in questi giorni di dieci motovedette che l’Italia sta fornendo di nuovo ai libici, meglio al governo di Tripoli, per estendere le attività di blocco e di riconduzione a terra dei migranti che, malgrado tutto, i trafficanti continuano a fare partire dalla Libia. Un obiettivo perseguito da anni, la riattivazione degli accordi di collaborazione tra la Libia, o quel che ne rimane, e l’Italia, con delega alle autorità libiche delle attività di riconduzione a terra che se fossero svolte da unità italiane, con altri respingimenti collettivi, come quelli ordinati da Maroni nel 2009, porterebbero ad una sicura condanna da parte della Corte Europea dei diritti dell’Uomo (come nel 2012 sul caso Hirsi).

In base ad i nuovi accordi tra Italia e Libia è’ prevista anche una sala di comando che viene spacciata come un coordinamento operativo comune tra italiani e libici.  È anche questo che si vuole nascondere dietro gli attacchi alle ONG che, nella stessa zona che verrà affidata ai libici, in acque internazionali, intendono continuare a salvare vite umane ed a portare i naufraghi in un place of safety, in un porto sicuro, non dunque quello più vicino, come impongono le convenzioni internazionali che troppi oggi dimenticano. Occorre allontanare testimoni scomodi e non controllabili. Ed impedire che le telefonate di soccorso possano essere rilanciate, in modo da fare emergere i casi, che saranno sempre più frequenti, di abbandono ai libici, se non di vera e propria omissione di soccorso.

Non possiamo prevedere quale sarà l’esito dei processi che si potranno intentare agli operatori umanitari, che certo non saranno soli davanti alle iniziative di qualche procura, possiamo essere certi da subito degli effetti collaterali, che si conteranno sulla base delle vittime che si registreranno nelle acque del Mediterraneo centrale, dopo che si sarà ridimensionato l’impegno delle navi umanitarie, come potrebbe pure verificarsi dopo che le stesse navi, che fin qui hanno operato con il supporto della Guardia costiera italiana, saranno “isolate”,  per il parziale ritiro più a nord-est delle navi della Marina italiana appartenenti alla missione “Mare sicuro”. Le navi della missione Frontex sempre meno numerose e collocate in un area operativa prossima all’isola di Malta.

Lasciare isolate le navi delle ONG, che prestano soccorso in acque internazionali ai limiti delle acque libiche, esposte agli attacchi dei pescherecci dei trafficanti e delle motovedette italo-libiche, che da maggio saranno operative con personale addestrato in Italia, è un chiaro disegno delle autorità italiane e del ministro Minniti e potrebbe avere conseguenze ancora più devastanti, anche in termini di vite a rischio, degli attacchi politichi e delle inchieste giudiziarie, annunciate ma ancora prive di elementi di prova raccolti nel rispetto del principio di legalità e delle garanzie di difesa.


Fulvio Vassallo Paleologo