Circa 250 da un solo sbarco. Questo è il numero dei migranti, prevalentemente di origine marocchina, respinti dopo l’arrivo a Pozzallo più di una settimana fa a bordo della nave Golfo Azzurro. Respingimenti fotocopia che impongono l’allontanamento entro sette giorni dal territorio italiano dalla frontiera di Roma Fiumicino. Ancora una volta si ripete il copione assurdo con cui vengono implementate queste procedure illegittime ed incostituzionali, riconducibili ai respingimenti collettivi per cui l’Italia è stata condannata anche dalla Corte Europea per i diritti dell’Uomo.
La nave Aquarius al porto di Catania |
I sopravvissuti alle ultime traversate sono partiti quasi tutti da Sabratha, in Libia, ed hanno viaggiato per circa tre giorni prima di approdare a Pozzallo, Catania, Augusta e Trapani. In 433 sono giunti al porto di Catania la mattina di venerdì 7 aprile a bordo della nave Aquarius; tra di loro molte donne che hanno parlato al personale di bordo degli abusi e dei maltrattamenti subiti prima di imbarcarsi. Bangladesh e Marocco sono le nazionalità prevalenti tra i nuovi arrivati; l’elevata presenza dei cittadini nordafricani ed il fatto che la polizia premesse per farli sbarcare tra i primi, fa presagire nuovi respingimenti di massa, dei quali abbiamo purtroppo la conferma poche ore dopo.
Sono passate infatti circa tre ore e mezza dalla fine dello sbarco quando intercettiamo decine di ragazzi marocchini che lasciano il porto muniti di nient’altro che un sacchetto della Croce Rossa (che poi sapremo contenere acqua, un ricambio di vestiti e del cibo), ed un foglio di respingimento che li intima di lasciare l’Italia entro sette giorni. Li ritroviamo la mattina seguente nei pressi della stazione dei treni, insieme agli operatori del progetto OpenEurope, che dalla sera prima hanno provveduto a fornire loro l’informativa legale con l’aiuto di un mediatore, kit di prima necessità, una scheda telefonica ed informazioni su dove poter avere un pasto caldo, un cambio di vestiti e la possibilità di fare almeno una doccia in città. La maggior parte di loro è determinata a proseguire il viaggio verso altre località, ma per alcuni è impossibile anche decifrare i cartelli scritti in italiano. “Io voglio proseguire per la Spagna.” - ci dice in uno stentato francese A. - “Lì ho amici, parenti, una seconda famiglia. Ma passare di qui era l’unico modo per poterci arrivare”.
Migranti marocchini respinti alla stazione di Catania |
Sono all’incirca un’ottantina i giovani uomini a transitare per la stazione dei treni in queste condizioni; riferiscono di essere stati interrogati dalla polizia sui motivi della loro fuga verso l’Italia, per poi essere in gran parte allontanati con il provvedimento che conosciamo. I segni della stanchezza e le difficoltà di comunicazione ci fanno seriamente dubitare di come in così poche ore sia stato possibile informare in modo esaustivo centinaia di persone e sottoporre a disamina ogni situazione rispettando il diritto di tutela individuale. Quanti di questi ragazzi avranno compreso cosa è successo e soprattutto quale significato ha per il loro futuro il respingimento che tengono fra le mani? Quale tutela dei diritti di base viene garantita a chi è buttato sulla strada di un paese straniero senza documenti, soldi e scarsissime possibilità di comunicare? L’Italia prosegue nella fabbricazione di invisibili ed irregolari, che da Nord a Sud vanno ad ingrossare le file del lavoro nero e dello sfruttamento, impossibilitati ad esercitare anche quei pochi diritti di cui sono titolari.
A Pozzallo continua ad essere rigorosamente rispettato lo schema per cui ad ogni recupero corrisponde l’arresto di almeno un “presunto scafista”, con tre migranti, tra cui un minore, già fermati dopo lo sbarco del 6 aprile della nave “Phoenix” del Moas, mentre altre indagini sono ancora in corso. Negli ultimi mesi sono decine i “presunti scafisti” scarcerati nel giro di poche settimane e lasciati letteralmente sulla strada a Ragusa, con possibilità di regolarizzarsi sul territorio ancora tutte da verificare. Ma anche ora che alcuni giudici riconoscono lo “stato di necessità” che ha costretto molti di loro a guidare le imbarcazioni, gli schemi e le modalità di indagine implementati all’arrivo non subiscono cambiamenti ed il numero degli arresti non accenna a diminuire. All’Italia e all’Europa servono vittime sacrificali per dimostrare efficacia nella lotta alla tratta di esseri umani, quando è chiaro che i veri trafficanti sono altrove e chi si imbarca lo può facilmente testimoniare. “Mi hanno portato a Sabratha insieme ad altri persone, sempre scortati da uomini libici con i fucili puntati… Chi non ha i soldi viene prima violentato e torturato e poi ucciso - e ho visto tante persone lasciate fuori dal compound dove eravamo ammassati - con un colpo di pistola in testa. Io sono stato fortunato perché una parte di soldi richiesti sono riuscito a consegnarla ed i libici mi hanno messo insieme ad altri che non avevano pagato la cifra richiesta e ci hanno ordinato di fare alcuni compiti come portare la barca, tenere la bussola, occuparsi del telefono satellitare e distribuire acqua e biscotti. Non potevo rifiutarmi, non avevo alternative, altrimenti mi avrebbero ucciso”. “Siamo stati fermati dalla Guardia Costiera libica che ci ha derubato di tutto quello che avevamo e lasciato in balìa del mare”. “Questo è il mio secondo tentativo per giungere in Italia. La prima volta siamo stati intercettati dalla Guardia Costiera libica e riportati a riva, incarcerati e costretti a pagare di nuovo per ripartire”. Testimonianze del genere non ci sono nuove, ma diventano sempre più difficili da sopportare quando si vede il proprio governo proporre accordi con la Guardia Costiera libica e punire chi dovrebbe invece proteggere.
Tra i 320 migranti giunti a Pozzallo a bordo della Phoenix c’erano anche una quarantina di minori stranieri non accompagnati, “trattenuti” ancora in hotspot, mentre alcuni dei 1126 migranti giunti a bordo della nave Dattilo al porto di Augusta il 7 aprile, hanno atteso anche due giorni prima di poter toccare terra. Ad Augusta è giunta anche la salma di un uomo di 40 anni di origine camerunense, deceduto probabilmente in seguito allo stato di debilitazione estrema in cui si trovava al momento della partenza. Le operazioni di sbarco hanno organizzato la discesa dei migranti a gruppi di cinquanta, una procedura estremamente lenta che non lascia dubbi su come le attività di controllo, “sicurezza” e indagine rivestano sempre un ruolo preponderante durante le attività di approdo. Anche per gli sbarchi nel Siracusano, la caccia ai “presunti scafisti” imperversa e trova sempre uno spazio tra la cronaca locale. Delle condizioni ed i diritti di migliaia di persone stipate sotto due tendoni per giorni, invece raramente si ha notizia.
Per chi arriva si stanno costruendo muri ed alzando nuove barriere lungo il possibile percorso di regolarizzazione. Così, mentre al Cara di Mineo proseguono i lavori per un altro hotspot, il recente decreto Minniti–Orlando, che ha già incassato la fiducia al Senato, ha tra gli obiettivi principali la velocizzazione dei rimpatri e l’eliminazione di un grado di appello, che lascia ai richiedenti asilo diniegati la possibilità di ricorrere solo in Cassazione. Una decisione quest’ultima che solleva forti dubbi di legittimità e sicuramente favorisce una rapida ricaduta nell’irregolarità di centinaia di persone già presenti sul territorio italiano, nuova merce per il mercato degli sfruttatori.
Per l’Italia i migranti, vivi o morti, restano numeri. Da controllare, identificare, inserire nelle statistiche e selezionare, secondo criteri che troppo spesso non hanno nulla a che fare con la tutela dei diritti umani.
Lucia Borghi
Borderline Sicilia Onlus