Questo lavoro di ricerca e analisi sulla strage del 3 ottobre del 2013 a Lampedusa nasce come un ulteriore approfondimento alla video inchiesta di Antonino Maggiore (Libera Espressione) ed è scaricabile in versione PDF da questo link.
A 3 anni dall’accaduto pensiamo sia giusto mantenere viva l’attenzione su alcuni punti quali il mancato soccorso e gli interessi economico-politici che stanno alla base di questo e di altri naufragi.
Riteniamo che il problema delle migrazioni contemporanee nell’area del Mediterraneo si debba far derivare dalle leggi che l’UE ha imposto agli stati membri per aderire al Mercato Interno Europeo e a Schengen.
Si possono pagare fino a dieci mila euro e impiegare anche molti anni prima di arrivare in Europa. Spesso si scappa da una guerra, altre volte dallo sfruttamento del proprio territorio, altre volte si è semplicemente alla ricerca di un lavoro.
Se i soldi spesi nella militarizzazione delle frontiere (Sicurezza) e nei centri di detenzione per migranti (Accoglienza) fossero stati impiegati nella regolarizzazione dei viaggi e nelle politiche sul lavoro, sicuramente non avremmo visto morire migliaia di persone con queste modalità.
Dal nostro punto di vista il problema rimane il sistema economico attuale che ha fatto del profitto il fine ultimo di ogni azione. Il capitalismo neoliberista di cui l’UE è una delle espressioni politiche fa ogni giorno migliaia di vittime che non hanno spazio nei TG e nelle rappresentazioni di Stato, non servendo a giustificare alcun tipo di politica: ne sono semplicemente le vittime. Nessuno parlerà di loro, nessuno nominerà i loro nomi.
Una delle cose più aberranti della strage del 3 ottobre è proprio questa: le vittime vengono continuamente evocate divenendo uno strumento per giustificare le politiche di quei soggetti responsabili delle loro morti.
Alle vittime dell’imperialismo capitalistico.
È in atto una guerra tra gli uomini e il mare.
Laura Boldrini, Lampedusa, 3 ottobre 2014
La storia intellettuale delle idee tende a isolare le espressioni più elaborate, a trattenere solo le opere dei migliori teorici e a considerare semplici aneddoti le molteplici manipolazioni continuamente operate dagli uomini dello Stato o dai propagandisti. Ora, nella realtà quotidiana della vita politica, nelle scelte decisionali e nell'opera di persuasione destinata a farle accettare, sono proprio le molteplici manipolazioni a essere importanti e a partecipare direttamente all'azione.
Pierre Ansart, Ideologie, conflitti e potere
I
Ricostruzione dei fatti[1]
Il 2 ottobre 2013, alle 03:00, un peschereccio di circa 20 metri partiva dalla costa della città di Misurata, in Libia, con a bordo 540 persone, la maggior parte di nazionalità eritrea. Dopo circa 24 ore di navigazione l’imbarcazione arrivava in prossimità dell’isola di Lampedusa e il conducente della barca spegneva il motore. Per quasi due ore la barca rimaneva ferma davanti all’isola con il motore spento. L’imbarcazione cominciava ad imbarcare acqua sottocoperta. Tra le 2.30 e le 3.00 del 3 ottobre due barche si avvicinano all’imbarcazione carica di persone.
Le due barche provenivano dalla direzione del mare, una dalla destra e l’altra dalla sinistra della barca. Dopo aver puntato i fari sulla barca carica di persone e averle fatto un giro attorno, le due imbarcazioni facevano rotta verso il porto di Lampedusa.
Nei frammenti di tracciati di cui siamo venuti in possesso (nell’area e nello spazio temporale descritto nelle testimonianze) si può risalire ad un natante, la “Motopesca Cartagine” che fa dei movimenti che corrispondono a quelli descritti dai sopravvissuti attorno la barca.
Nell’interrogatorio sostenuto da sei dei sopravvissuti il 07/10/2013 non si approfondisce mai questo punto né tanto meno l’omissione di soccorso. L’interrogatorio è stato condotto dal Procuratore della Repubblica Dott. Renato Di Natale, dal Procuratore della Repubblica Aggiunto Dott. Ignazio Fonzo e dal sostituto procuratore della Repubblica Dott. Andrea Maggioni. Le indagini si sono concentrate principalmente sulla figura di Bensalam Khaled, che sarà poi condannato nel 2015 a diciotto anni di reclusione e ad una multa di dieci milioni di euro per naufragio colposo e “morte provocata come conseguenza di un altro reato” dal gup del Tribunale di Agrigento, Stefano Zammuto.
Bensalam Khaled si è sempre dichiarato un semplice passeggero.
Il comune di Lampedusa e Linosa si è costituito parte civile nel processo.
Durante l’interrogatorio uno dei sopravvissuti dichiara, a proposito delle due barche: «Si trattava probabilmente di due pescherecci». Ma chi interroga va avanti senza approfondire.
In un’altra parte del verbale dell’interrogatorio (ad un altro dei sopravvissuti) si riporta quanto segue:
R: Eravamo quasi arrivati tanto è vero che vedevamo le luci provenienti dall’isola. Credevamo che dall’Italia ci avessero già avvistati e venissero a prenderci. Peraltro, si sono avvicinate due imbarcazioni e questo mi faceva pensare che qualcuno ci avesse avvistati ma noi non abbiamo chiesto aiuto in quanto pensavamo che da lì a poco sarebbero arrivati i soccorsi.
D: Di che tipo di imbarcazioni si trattava?
R: Non penso si trattasse di imbarcazioni militari, ma si trattava probabilmente di due pescherecci.
Non si capisce perché l’interrogato risponda negando il fatto che le imbarcazioni fossero militari visto che nella domanda non vi era contenuto nessun riferimento a questo particolare. Nel verbale gli altri interrogati affermano che le due barche sono barche da pesca o civili, a parte uno che dice di non sapere che tipo di barche fossero. Nelle interviste che abbiamo condotto noi nei giorni successivi al naufragio invece abbiamo ascoltato versioni diverse.
Riportiamo una parte di una di quelle interviste:
D: Puoi riconoscere l’imbarcazione tra una di queste foto?
R: (Indica una foto con una barca della Guardia di Finanza).
D: Come erano vestite le persone a bordo?
R: Di nero, sembrava una divisa nera.
D: Quante persone hai visto?
R: Due. Uno davanti la nave, l’altro dietro.
D: Perché sei sicuro che la prima nave sia questa?
R: Nel suo insieme mi sembra questa.
D: Hai rivisto queste imbarcazioni in porto a Lampedusa nei giorni seguenti?
R: Si, le ho viste.
D: Quand'è che hai capito che si trattava di una moto barca della Guardia di Finanza?
R: Adesso l’ho capito.
D: Dove hai fatto il servizio militare in Eritrea?
R: Nella marina, ho lavorato nella marina militare. Dalla forma, dalle antenne e dalle luci ho capito che la nave è questa.
Nel seguente video possiamo sentire uno dei sopravvissuti essere interrotto dal suo traduttore[2] mentre stava per descrivere una delle due barche.
Nelle prime ore del naufragio molti parlano di queste barche che non si sono fermate.
Il sindaco di Lampedusa affermava: «raccontano che alcuni motopesca, due o tre, sono passati e sono andati avanti senza aiutarli. Questo è quello che dicono loro, ma se è vero bisognerà fare luce anche su questo.»[3]
Tre giorni dopo il sindaco di Lampedusa emanava un comunicato ufficiale dove si legge:
«Basta con questa inutile e ingiusta polemica. I pescatori della marineria di Lampedusa non lasciano morire i migranti in mare. Non lo hanno mai fatto e non lo faranno mai». Così il sindaco delle Pelagie, Giusi Nicolini, intende mettere la parola fine alla disputa sorta intorno alla vicenda della presunta omissione di soccorso ai naufraghi dell’Isola dei conigli. [4]
Non ci spieghiamo come mai chi ha indagato non abbia approfondito questo punto e non si siano interrogati i componenti dell’equipaggio della Motopesca Cartagine che, come riportano diversi articoli di giornale, era stata sequestrata in Tunisia il 20/09/2013 e rilasciata il 25/09/2013 con 9 uomini di equipaggio a bordo (3 mazaresi e 6 tunisini).
In data 01/10/2016 apprendiamo dalle dichiarazioni del sostituto procuratore di Agrigento Andrea Maggioni che la procura di Agrigento sta indagando sull’ipotesi di omissione di soccorso.
Il 5 ottobre un comunicato dell’ANSA riportava:
NAUFRAGIO: PROCURA, NESSUNA INCHIESTA SU SOCCORSI IN MARE – EX GENERALE ANNUNCIA DENUNCIA, DUE MOTOVEDETTE GDF FERME AL MOLO (ANSA) – LAMPEDUSA (AGRIGENTO), 5 OTT –
La Procura di Agrigento non ha aperto alcuna inchiesta sui soccorsi prestati in mare ai migranti che erano sul barcone naufragato due giorni fa al largo di Lampedusa. Lo si apprende da fonti giudiziarie sottolineando che alcun fascicolo è stato istruito ne’ su civili ne’ su militari e forze dell’ordine. Una denuncia, secondo quanto scrive il quotidiano La Sicilia, sarà presentata, invece, alla Procura militare di Napoli da un generale dell’aeronautica militare in congedo, Vittorio Scarpa, che ha annunciato l’iniziativa per fare chiarezza su chi e perché non avrebbe avvertito la guardia di finanza del naufragio. Secondo la ricostruzione del giornale, infatti, due motovedette delle Fiamme gialle sarebbero rimaste attraccate al molo Favaloro. (ANSA).
In un’intervista ad uno dei sopravvissuti, intervista fatta nei giorni seguenti al naufragio da «Libera Espressione», è possibile ascoltare quanto segue:
Da lontano si vedevano le navi che andavano a destra e a sinistra quindi per attirare l’attenzione è stata bruciata la coperta ma non si è avvicinato nessuno. Prima di accendere il lenzuolo avevamo provato ad accendere le lampadine per attirare l’attenzione. Ma da lontano vedevamo le barche che si muovevano e le luci della costa.
Attorno alle 4.30 la barca affondava. Verso le 06.30 un gruppo di persone che si trovava in barca nella zona della Tabbaccara, per una battuta di pesca, svegliati dalle grida dei naufraghi escono fuori dalle cabine e vedono centinaia di corpi in mare.
Viene subito dato l’allarme con una telefonata.
Alle 6,40 abbiamo chiesto aiuto attraverso il canale 16 della radio di bordo, collegato con la capitaneria di Lampedusa. Nulla. Alle 7,20 abbiamo chiamato via telefono il centralino di Roma e ci hanno risposto: “Stanno arrivando”. Ma sono passati altri 5 se non 10 minuti […] Sono arrivati con navi enormi che non servivano per ripescare i naufraghi ho chiesto di poter trasferire i miei ragazzi sulla loro barca per continuare il salvataggio, ma loro non hanno voluto […] Ho visto su tutti i siti di Internet il video di uomini della Capitaneria di porto che riprendeva un salvataggio. Mi chiedo perché facevano riprese invece di salvare la gente? […] Se la prendevano alla leggera non è così che si agisce mentre la gente bolle in mare. Hanno rifiutato di prendere a bordo qualche persona che avevamo già salvato perché il protocollo, hanno detto, lo vietava. Quando siamo tornati al porto carichi di naufraghi abbiamo visto la vedetta della finanza che usciva come se stessero andando a passeggiare. In casi del genere non si va con questi natanti enormi si va con barche piccole e veloci per pensare di salvare le persone.[5]
Altre barche civili e pescherecci si portano sul posto caricando la maggior parte dei superstiti a bordo. I primi soccorritori dichiarano un ritardo della Guardia Costiera di circa 50 minuti.
Ecco cosa scrive nelle ore successive al naufragio, sul suo profilo Facebook, l’avvocato Linda Barrocci, una delle soccorritrici che era presente nella barca ormeggiata alla Tabbaccara:
Indignazione!!!! Informatevi bene su ciò che succede a Lampedusa. Non limitatevi ad ascoltare le notizie in modo superficiale! Al tg comunicano un naufragio causato da un incendio e più di 500 persone in mare che stanno lottando per la sopravvivenza! Ma perché il mare è pieno di persone che devono essere salvate e la Guardia Costiera dopo innumerevoli chiamate arriva solo un’ora dopo? Perché tutto ciò succede sotto costa e i soccorsi non arrivano? Hanno mezzi sofisticatissimi per individuare barche miglia e miglia dalla costa e non riescono a vedere un incendio e correre subito a salvare il salvabile? Questa mattina noi eravamo in mare e vediamo teste di persone in acqua, dappertutto, la disperazione e vite da salvare! Gente che annega sotto i tuoi occhi e la guardia costiera dice che deve seguire il protocollo! Ma quale protocollo! Ti ritrovi imbarcazioni della Guardia costiera che dicono che devono chiamare Roma per sapere cosa fare, quando tu sei su una barca ed hai già “tirato” su quarantasette vite che tra le lacrime, lo shock, i polmoni e lo stomaco pieno di benzina, hanno passato più di tre ore a nuotare chiedendo aiuto! Come è possibile che queste povere anime siano state costrette a morire per la mancanza di soccorsi! Dove cazzo siete? Complimenti Italia! La vita non segue nessun protocollo! Se è questione di vita o di morte entrano in gioco i diritti umani e il diritto stesso alla vita! Mentre rientravamo in porto con un carico di 47 persone appena salvate, la Guardia costiera aveva gommoni vuoti e nonostante centinaia di persone continuassero a sbracciarsi, allo stremo delle forze, freddi, sfiniti ed intossicati dal petrolio, il gommone rimaneva li, vuoto, con un sommozzatore che gridava “sit down” a quei poveri ragazzi sulla nostra barca, invece di buttarsi a mare e salvarne altri! Questo è tutto ciò che sono riusciti a dire e a fare. Almeno fino a quel momento! Perché poi si saranno adoperati in qualche modo! Ma non è troppo tardi? E ci vengono a dire che ancora ci sono più di 200 dispersi? Aspettiamo ancora? guardiamoci allo specchio e rendiamoci conto che nel 2013 ancora non siamo capaci neanche di provvedere a noi stessi! Non ho parole! Vogliamo continuare così?
La Guardia Costiera invece dichiarava:
Dopo aver ricevuto la segnalazione di allarme via radio UHF alle 7,00 siamo immediatamente intervenuti con le nostre unità navali arrivate sul posto del naufragio prima delle 7,20: grazie anche alla cooperazione di soggetti privati, abbiamo salvato tutti quelli che erano sparsi in acqua e strappato al mare 155 vite.[6]
Di rilevanza è anche il fatto che Lampedusa è un territorio altamente militarizzato e che conta ben otto radar di cui sette nella zona di Ponente, vicinissimi alla zona del naufragio. La presenza a Lampedusa di otto radar e di svariate antenne per lo spionaggio e la guerra elettronica è stata giustificate nel corso degli anni con la questione delle migrazioni: in chiave securitaria o in quella umanitaria. Tali installazioni hanno aumentato la possibilità di malattie legate all’inquinamento elettromagnetico tra i lampedusani. Ma a sentire il Ministro della Difesa, questa proliferazione di radar servirebbe a ben poco:
Tuttavia, anche le nuove tecnologie radar non garantiscono da sole la possibilità di identificare un’imbarcazione in alto mare, ovvero la sua connessione con i flussi migratori, né tantomeno di verificare lo stato o le condizioni di potenziale pericolo dello stesso natante, La valenza dei nuovi radar della Marina, pertanto, deve essere vista come di supporto all’opera delle navi e degli aeromobili operanti nelle stesse aree di alto mare d’interesse, che sono gli unici mezzi che possono sia verificare la situazione in atto che interviene con immediatezza per prevenire le tragedie in mare.[7]
Altra cosa da sapere è che nel Mediterraneo centrale dal 06/05/2013 al 30/04/2014 è stata operativa la missione di Frontex denominata EPN Hermes, a cui partecipavano 20 stati dell’UE e che è costata complessivamente € 9.020.745.[8]
II
L’approvazione di Eurosur. Sull’onda dell’emozione
Il 10 ottobre 2013 con 479 voti a favore, 101 contrari e 20 astenuti il parlamento europeo approva Eurosur. L’entrata in vigore di Eurosur stentava a divenire operativa anche grazie ad alcuni dossier come quello della tedesca Heinrich Boll Foundation, del 2012, in cui si stimava un costo di almeno 874 milioni di euro. La Commissione europea nel documento del 12/12/2011, Eurosur: Fornire alle autorità gli strumenti necessari per rafforzare la gestione delle frontiere esterne e combattere il crimine transnazionale, stimava il costo di Eurosur dal 2011 al 2020 in 338 milioni di euro.
Sempre nel 2012, in una lettera indirizzata alla Commissione per le libertà civili del Parlamento Europeo, un gruppo di ONG che si battono per il rispetto dei diritti umani ha espresso preoccupazione a che la progettata istituzione di un Sistema europeo di sorveglianza delle frontiere (EUROSUR) manchi di assicurare le debite tutele ai richiedenti asilo che cercano protezione nel continente. [9]
Il sistema di sorveglianza delle frontiere europee Eurosur doveva entrare in funzione il primo ottobre, appena due giorni prima il tragico naufragio di Lampedusa. Queste almeno erano le intenzioni, andate completamente a vuoto, pronunciate il 27 novembre del 2012 dalla Commissione per i diritti civili del Parlamento europeo che proprio quel giorno aveva dato il via libera al regolamento Eurosur, assicurando che radar e pattugliamenti avrebbero avuto come “obiettivo-chiave” la protezione dei disperati che affrontano la traversata del Mediterraneo per approdare alle coste italiane. “Salvare le vite dei migranti nel mar Mediterraneo è assolutamente necessario”, aveva dichiarato il relatore Jan Mulder (Ppe). Così non è stato. Ci sono voluti quasi undici mesi e una tragedia con 320 annegati per convincere il Parlamento europeo ad approvare sull’onda dell’emozione, ieri, il regolamento di Eurosur che entrerà in vigore in Italia il prossimo due dicembre.[10]
Nelle dichiarazioni finali del Consiglio Europeo si legge: «EUROSUR contribuirà a migliorare la capacità di proteggere e salvare la vita dei migranti».
La commissaria Cecilia Malmström dichiarava, dopo l’approvazione di Eurosur:
Tutti noi abbiamo dinanzi agli occhi le terribili immagini della recente tragedia di Lampedusa. Non dimenticherò mai quei 280 feretri che ho visto ieri sull’isola. È tremendo assistere alla perdita di tante vite umane in circostanze così tragiche. Il mio pensiero va alle vittime e alle loro famiglie e ammiro profondamente i soccorritori che hanno fatto del loro meglio in una situazione tanto drammatica.
Il relatore, il liberaldemocratico olandese Jan Mulder:
Solo con un sistema pan-europeo di sorveglianza delle frontiere, siamo in grado di evitare che il Mediterraneo diventi un cimitero per i rifugiati che cercano di attraversarlo su carrette del mare, in cerca di una vita migliore in Europa. Per evitare che una tragedia come quella di Lampedusa accada di nuovo, è necessario un rapido intervento.
Che le morti del 3 ottobre 2013 siano state provocate da «circostanze così tragiche» o che invece siano il frutto di precise scelte politiche e interessi economici, poco cambia. Per giustificare l’approvazione di Eurosur si è usata la strage del 3 ottobre 2013, questo è un dato oggettivo.
In realtà il compito primario del sistema di sorveglianza, si legge nel testo, è “individuare, prevenire e combattere l’immigrazione clandestina e la criminalità transfrontaliera” attraverso un rafforzamento dello scambio di informazioni tra i singoli Stati e Frontex, l’Agenzia per la protezione delle frontiere europee con sede a Varsavia, che nei giorni scorsi ha ammesso di avere ormai terminato i fondi stanziati per il 2013. […] Nel testo votato viene data la possibilità a Frontex di negare una richiesta di aiuto da parte di uno Stato europeo per motivi “tecnici, finanziari o operativi”, motivando il rifiuto “a tempo debito” ovvero quando vorrà. Insomma, già nel regolamento si prevede che Frontex – che avrà il compito di coordinare le attività di Eurosur – potrebbe rimanere a secco di finanziamenti oppure per qualche motivo tecnico (non specificato) non potrà intervenire tempestivamente per aiutare il salvataggio di una carretta del mare.[11]
L’11 ottobre 2013 si verifica un altro naufragio, dove muoiono 268 siriani tra cui 60 bambini.
Tre chiamate di soccorso via satellite ignorate. Due ore di attesa in mare. Per poi scoprire che l’Italia non aveva mobilitato nessun aereo, nessuna nave della Marina, nessuna vedetta della Guardia costiera. Anzi, dopo due ore, la centrale operativa italiana ha detto ai profughi alla deriva a 100 chilometri da Lampedusa che avrebbero dovuto telefonare loro a Malta, lontana almeno 230 chilometri. Due ore perse: dalle 11 alle 13 di venerdì 11 ottobre. Se gli italiani si fossero mobilitati subito o avessero immediatamente passato l’allarme ai colleghi alla Valletta, la strage non ci sarebbe stata. […] Il peschereccio aveva a bordo tra i 100 e i 150 bambini, sul totale di almeno 480 siriani in esilio: la notte precedente, le raffiche di mitra sparate da una motovedetta libica avevano forato lo scafo che, alle 17.10, si è rovesciato ed è affondato. Un elicottero ha raggiunto il punto alle 17.30, sei ore e mezzo dopo la prima chiamata di emergenza. La prima nave militare maltese alle 17.51. Quelle due ore perse avrebbero permesso all’elicottero di arrivare alle 15.30, alla nave militare alle 15.51. E ai soccorritori partiti da Lampedusa, su un veloce pattugliatore della Guardia di Finanza, di essere operativi già poco dopo le 13 e non dopo le 18.30. Ci sarebbe stato insomma tutto il tempo per concludere il trasferimento dei passeggeri e metterli in salvo. Due ore di negligenza italiana e la folle suddivisione delle competenze tra l’Italia e Malta hanno invece contribuito alla morte di 268 persone, almeno 60 i bimbi piccoli annegati, 242 cadaveri tuttora abbandonati in mare, le solite parole di circostanza e per ultimo, il 4 novembre, i ringraziamenti del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, alle forze armate per le coraggiose operazioni nel Mediterraneo […] “L’Espresso” ha continuato a indagare. E ha rintracciato l’uomo che con un telefono satellitare ha dato l’allarme alla centrale operativa italiana. È lui a denunciare il ritardo. Si chiama Mohanad Jammo, 40 anni. […] Nel naufragio il dottor Jammo è sopravvissuto con la moglie, ex docente universitaria di ingegneria meccanica, e la loro bimba di 5 anni. Ma ha perso i figli Mohamad, 6 anni, e Nahel, 9 mesi, i cui corpi non sono stati ritrovati. La denuncia è confermata da altri due testimoni. […] Quando dalla Guardia costiera italiana gli annunciano quello che avrebbero fatto, Mohanad Jammo li supplica: «Per favore, stiamo per morire». E il militare al telefono: «Per favore, potete chiamare le forze maltesi, adesso vi do il numero: 00356…». «Se prendete la registrazione», ricorda il dottor Jammo, «vedrete che non mi ha lasciato il tempo. Ha chiuso la telefonata prima ancora che avessi finito di scrivere il numero». Questo invito a chiamare direttamente Malta, spiega l’ammiraglio Angrisano, «risponde a una chiara, collaudata e produttiva metodica che attraverso il contatto diretto di chi chiede soccorso e chi è tenuto a prestarlo, rende più efficace, più produttiva l’azione di salvataggio» [12]
Cecile Kyenge (allora Ministro per l’Integrazione del Governo Italiano) ribadisce che la priorità è fare la
guerra a tutto campo alla criminalità organizzata transnazionale che gestisce queste tratte di esseri umani. Ci sono leggi che vanno applicate e, se necessario, bisogna renderle ancora più dure […] bisogna rafforzare i controlli nelle acque del Mediterraneo. C’è da incentivare il sistema Frontex e dare vita ad un monitoraggio in tempo reale per evitare di contare altri morti. E soprattutto pattuglie in mare che individuino i criminali protagonisti della tratta di esseri umani. Il punto è qui: una nuova mafia transnazionale sulle rotte del Mediterraneo.[13]
Il 14 ottobre il governo Letta decide di attuare l’operazione Mare Nostrum. Il 20 ottobre, con l’arrivo nelle acque a sud della Sicilia della nave da assalto anfibio San Marco e con la prima missione di sorveglianza anti-immigrazione di un Breguet Atlantic del 41° stormo dell’Aeronautica, prende il via a tutti gli effetti l’operazione “Mare Nostrum”, operazione inquadrata nell’agenzia Frontex. Il costo dell’operazione è di circa quattrocentomila euro al giorno e durante l’operazione si sono registrati circa 3.360 tra cadaveri e dispersi.
Il 22 ottobre il consiglio UE per gli affari generali approva, senza discussione, l’adozione di Eurosur che entrerà in vigore il 2 di dicembre del 2013 nell’ambito dell’acquis di Schengen.
III
Capovolgere la realtà
Giustificare il finanziamento di Eurosur e delle varie missioni successive sarebbe stato difficile se ci fosse stato il dubbio nell’opinione pubblica di un mancato soccorso o di un ritardo nei soccorsi da parte degli apparati preposti per il salvataggio in mare. Attraverso i media di regime si è imposta una narrazione della strage del 3 ottobre 2013 che cancella ogni traccia delle testimonianze che parlano delle due imbarcazioni che si avvicinano alla barca stipata di migranti, tra le 2.30 e 3.00 di notte, e dei ritardi dei soccorsi. Non si è mai aperta un’indagine giudiziaria sul mancato soccorso.
La Rai ha giocato un ruolo fondamentale in questo senso, producendo: reportage, film e manifestazioni tutte tese a esaltare il ruolo delle forze dell’ordine e dei militari nel salvataggio di vite umane in mare e dipingere Lampedusa come “terra dell’accoglienza” per eccellenza. Non è un caso che uno dei principali componenti del Comitato 3 ottobre sia Valerio Cataldi, giornalista RAI.
Il Comitato 3 ottobre si forma subito dopo il 3 ottobre 2013, anche questo “sull’onda dell’emozione”. La nascita del Comitato incontra da subito i favori del Sindaco di Lampedusa e Linosa che in un comunicato ufficiale del 28 ottobre 2013 dichiarava
La nascita del Comitato3Ottobre, a poche settimane dal drammatico naufragio dell’Isola dei Conigli, è una bella e concreta testimonianza dell’impegno collettivo di quanti vogliono agire perché cambino le politiche dell’asilo e dell’accoglienza e tragedie simili non si debbano ripetere. Per questo la proposta di introdurre per legge la celebrazione della “Giornata della memoria e dell’accoglienza” ogni 3 ottobre incontra tutto il mio favore e può contare sul pieno sostegno mio e dei miei concittadini.[14]
Già l’anno successivo alcuni dei membri fondatori preferiscono abbandonare il Comitato:
cinque membri del Comitato 3 ottobre, nato lo scorso anno dopo il naufragio in cui morirono quasi 400 persone, hanno deciso di lasciare l’associazione. “Avremmo voluto che il 3 ottobre a Lampedusa si potesse stare tutti in silenzio, uniti nel ricordo e in una preghiera comune a tutte le religioni – hanno scritto in una lettera aperta Laura Biffi, Paola La Rosa, Simone Nuglio, Fabio Sanfilippo e Alice Scialoja -. Volevamo evitare le strumentalizzazioni e le passerelle politico-istituzionali. Apprendiamo invece che il Comitato parteciperà a un dibattito-convegno proprio il 3 ottobre a Lampedusa con esponenti politici e istituzionali, contraddicendo lo spirito del movimento e negando il senso profondo della memoria e del ricordo.[15]
Nel 2014 il Comitato 3 ottobre diventa una ONLUS «con lo scopo di istituire il 3 ottobre come data simbolica della “Giornata della Memoria e dell’Accoglienza”, sia a livello nazionale che Europeo.
Ogni 3 ottobre, data dalla forte valenza simbolica, vogliamo promuovere e rilanciare l’apertura di corridoi umanitari per accogliere tutti coloro che scappano da guerra, dittatura e miseria, potenziare la ricerca e il soccorso in mare e creare una banca dati europea del Dna per il riconoscimento delle vittime.[16]
Ed ecco la descrizione dei fatti che si può leggere sul sito della ONLUS Comitato 3 ottobre:
Il 3 ottobre 2013 un’imbarcazione carica di rifugiati in maggioranza eritrei affonda a mezzo miglio dalle coste di Lampedusa. La conta, alla fine è di 368 morti tra bambini, donne e uomini. I corpi delle vittime vengono recuperati tutti e per la prima volta nella storia dei naufragi del Mediterraneo, si mostrano al mondo in un drammatico grido di aiuto collettivo.[17]
(Le cerimonie del 03/10/2014)
Il Comitato 3 ottobre Onlus è stato parte attiva all’interno di tutte le manifestazioni ed iniziative legate alla memoria del 3 ottobre 2013 e in tutte quelle forme di rappresentazione che prendono via da quel giorno, non ultimo il Museo della Fiducia e del Dialogo.
Oltre all’abbandono del Comitato 3 ottobre da parte di molti dei fondatori, nel 2014 si verifica anche il rifiuto di alcuni dei soccorritori civili a partecipare alle manifestazioni organizzate dal Comune e dallo stesso Comitato.
OGGETTO: RIFIUTO ALLA PARTECIPAZIONE DELLA CERIMONIA ORGANIZZATA DAL COMUNE DI LAMPEDUSA E DAL FESTIVAL “SABIR”
In occasione dell’anniversario del naufragio del 3 di ottobre 2013 che ha provocato la morte di 368 persone, io sottoscritto Vito Fiorino, personalmente ed in nome delle sette persone che si sono prodigate con me al salvataggio di 47 vite umane a bordo della mia imbarcazione, RIFIUTO ESPRESSAMENTE di partecipare a qualsiasi cerimonia organizzata dal Comune di Lampedusa. Appena accaduto il fatto, nell’anno trascorso fino ad oggi, non siamo stati interpellati né ascoltati dal primo cittadino, Giusi Nicolini. In risposta dagli inviti inviati dal Sindaco e dal Comitato 3 ottobre in collaborazione con il Comune di Lampedusa, quindi, esprimo il nostro rifiuto alla partecipazione a tali manifestazioni, rifiuto rivolto alle istituzioni motivato dall’inesistente considerazione del Comune di Lampedusa rappresentato dal sindaco Giusi Nicolini, considerazione che ci aspettavamo scontata ma mai avvenuta. Tale rifiuto è solo rivolto alle istituzioni nel pieno rispetto delle vittime, dei superstiti e delle loro famiglie. Preferiamo rimanere nel nostro silenzio ed avremmo preferito che le istituzioni avessero continuato a farlo, silenzio che hanno portato avanti per ben dodici mesi dal giorno della tragedia e che ora viene rotto da manifestazioni mirate ad uno spettacolo mediatico strumentalizzato, nonché da sfilate di politici inutili e dispendiose. La nostra commemorazione rimane privata così come lo è stata dal giorno della tragedia ad oggi.
Distinti saluti
Vito Fiorino , Grazia Migliosini , Linda Barrocci, Marcello Nizza, Alessandro Marino, Anna Bonaccorso, Rosaria Racioppi, Carmine Menna.[18]
Sempre in quei giorni del 2014 Valerio Cataldi denunciava due dei soccorritori per aggressione verbale. Ecco cosa scrive a proposito Alessandro Marino uno dei soccorritori denunciati:
La storia comincia la tragica notte del 3 ottobre 2013, noi con la nostra barca ci siamo trovati nel più grande naufragio del Mediterraneo. Io Alessandro Marino ero al timone della nostra barca Gamar, e sono stato il primo a chiedere soccorso tramite VHF alla capitaneria di Lampedusa, chiamata registrata dalla capitaneria come per legge, quando c’è un emergenza, i dettagli di quelle chiamate sono sottoposti ad inchiesta dalla magistratura e quindi prove importanti. In qualche modo il giornalista Rai Valerio Cataldi riesce ad ottenere le registrazioni di quel giorno, dalla capitaneria di Lampedusa e manda in onda diverse trasmissioni Rai con la mia voce, facendo una ricostruzione parziale e manipolando la vera storia. Mai e in nessuna circostanza il Cataldi ha chiesto conferme ai testimoni oculari su una questione così importante e mai noi abbiamo avuto contatti col Cataldi che nel frattempo costituiva il comitato 3 ottobre, mai anche questo comitato ha parlato con noi anche per dovere di cronaca e per sapere la verità su quel triste giorno. Io personalmente dal giorno in cui ho risentito la mia voce non dormo più e soffro di depressione, non posso più sopportare di risentire la mia voce che il Cataldi usa in diverse trasmissioni Rai, tra quali speciali del tg 2, punto di vista del 29/11/2013 e per finire anche un documentario (la neve la prima volta) in cui si sente sempre la mia voce. Io non ho mai dato alcun consenso ad usare la mia voce né al Cataldi né alla Rai e soprattutto le registrazioni dovrebbero essere prove al vaglio della magistratura ma il Cataldi le usa a scopo di lucro. Il giorno 3 ottobre 2014 durante una manifestazione popolare, ho parlato col Cataldi chiedendo di non usare più la mia voce e che lo avrei denunciato, la discussione era concitata e urlavamo tutti per i nostri diritti negati e per le manipolazioni giornalistiche della Rai, che voleva usare come set cinematografico: il cimitero delle barche, luogo sacro per tutti e che merita rispetto. Volavano gli insulti anche dal Cataldi che mi diceva che a lui no n interessava la nostra testimonianza e poteva trasmettere ciò che voleva per diritto di cronaca. Anche in quel giorno 3 ottobre 2014 risentivo la mia voce al Tg 2. Sentivo violata la mia privacy ancora una volta…. chi dovrebbe tutelarci?…al tg 2 ci definivano delinquenti e studentelli dei centri sociali. Il giorno seguente 4 ottobre 2014 mi trovavo ad un’altra manifestazione con degli amici e parlando tra di noi di alcuni giornalisti li definivo pezzi di merda, il Cataldi che si trovava nelle vicinanze insieme ad un operatore si gira e ci manda a quel paese con il dito medio, poi va dai carabinieri e ci denuncia per aggressione verbale. Il giorno dopo vediamo la notizia su diversi quotidiani online, chiaramente il Cataldi usando il potere di giornalista ci definisce aggressori, noi che siamo pacifisti e abbiamo ricevuto premi nazionali ed internazionali per la pace, in nessun modo potevamo pensare di aggredire il Cataldi. Ci sentiamo offesi e indignati dalle sue parole e dalla sua denuncia, ancora tutta da provare, al contrario ci sono decine di testimoni che confermano i fatti accaduti, o forse ci ha denunciato per paura delle mie dichiarazioni?
I soccorritori diventano aggressori, i militari acclamati come salvatori di vite umane, i responsabili politici si propongono come i risolutori dei problemi che loro stessi, in realtà, contribuiscono a creare.
IV
Tanti soldi
C’è Echo (European commission humanitarian aid and civil protection), la Direzione Generale per gli aiuti umanitari e la protezione civile della Commissione europea. Creata per contribuire a salvare e proteggere vite umane, ridurre le sofferenze e tutelare l’integrità e la dignità delle persone, fornire tende, coperte e altri generi di prima necessità, quali cibo, medicinali, attrezzature mediche, sistemi di depurazione dell’acqua e combustibili, finanziare squadre mediche e fornire sostegno nel campo dei trasporti e della logistica (attività perfettamente coerenti con la situazione attuale delle migrazioni), dispone di un budget di 1,3 miliardi all’anno. Metà di questo fondo viene però speso per stipendi, acquisizione di servizi, affitti di grattacieli e sedi varie. Poi c’è il Programma europeo SOLID – Solidarietà e gestione dei flussi migratori, gestito dalla Direzione generale Affari Interni della Commissione europea. Disponeva, fino al 2013, di un budget complessivo di 4 miliardi (presumibilmente integrato essendoci stata una proroga del programma fino al 2015). Per l’Italia, è gestito presso il Ministero dell’interno attraverso 4 Fondi: integrazione cittadini paesi terzi, rifugiati, rimpatri, frontiere esterne. Segue Frontex, l’«Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea», con un budget per il 2015 di 115 milioni – di cui però 40 vanno nelle spese di gestione, compreso l’affitto di un grattacielo a Varsavia, per 5 milioni, e 615 mila euro per “riunioni non operative (sic!)”. E poi ancora l’Easo (European asylum support office), l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo, di cui pare si conosca soltanto il costo di funzionamento di una decina di milioni di euro.[19]
Oltre a questi fondi vanno aggiunti i soldi stanziati dal governo italiano: nel 2015 i costi stimati per la gestione delle migrazioni erano di 3,3 miliardi di euro, di cui 3 miliardi di spesa corrente. Il 50% delle spese riguardava il capitolo “ricezione”, mentre tra il 20% il 30% il salvataggio in mare – nel 2014 i costi sono raddoppiati rispetto al periodo 2011-2013 e nel 2015 sono triplicati.
Proprio nel 2013 scadeva il periodo di finanziamento UE 2007/2013 e si doveva aprire la nuova fase di assegnazione dei finanziamenti 2014/2020. Il 2 ottobre 2013 il rapporto approvato all’unanimità dalla Commissione Migrazioni dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa bocciava le politiche sulle migrazioni dello stato italiano definendole «sbagliate o controproducenti». L’Italia veniva criticata per i continui stati d’emergenza dichiarati per «adottare misure straordinarie al di là dei limiti fissati dalle leggi nazionali e internazionali», sostenendo addirittura che alcune delle scelte fatte dalle autorità italiane «rischiano di minare la fiducia nell’ordine legale europeo e nella Convenzione di Dublino». L’indomani nessuno ha più dubbi. Dopo la strage del 3 ottobre tutti i paesi europei si schierano con l’Italia per quanto riguarda le politiche migratorie, tant’è che per il programma di finanziamento 2014-2020 all’Italia vanno oltre 500 milioni di euro su un totale di 3,1 miliardi del Fondo per asilo, migrazione e integrazione (AMIF). L’Italia è il paese che usufruirà di più fondi europei per la lotta all’immigrazione irregolare e per l’integrazione.
Le voci del finanziamento sono due:
1) Amif (Asylum, Migration and Integration Fund) che in 7 anni eroga agli stati membri 3 miliardi e 137 milioni di euro, per asilo, rimpatri assistiti (310 milioni di euro per l’Italia);
2) Isf (Internal Security Fund), a cui in totale vanno 3,8 miliardi di euro in 7 anni (212 milioni di euro per l’Italia).
Inoltre vanno calcolati gli 872 milioni destinati ai campi profughi siriani e dei Paesi limitrofi, che spesso sono gestiti da ONG e agenzie dell’ONU. Un’enorme giro di soldi che coinvolge il capitale internazionale, istituzioni, mafie, gestori dei centri per migranti.
Vi è però un gruppo di interesse che sta beneficiando della crisi dei rifugiati ed in particolare degli investimenti dell’Unione europea per “proteggere” i confini. Sono le aziende del settore militare e della sicurezza che forniscono sistemi e attrezzature alle guardie di frontiera, tecnologie di sorveglianza per controllare le frontiere e infrastrutture informatiche per monitorare i movimenti delle popolazioni. […] i principali beneficiari dei contratti per la sicurezza dei confini sono gli stessi produttori e venditori di armamenti ai paesi del Medio Oriente e del Nord Africa: armamenti che stanno alimentando i conflitti dai quali fuggono i rifugiati. In sintesi, le aziende che infiammano la crisi sono le stesse che ne traggono i maggiori profitti. Queste aziende sono state spalleggiate dai governi europei che hanno concesso le licenze per l’esportazione di sistemi militari e hanno poi concesso contratti per la sicurezza delle frontiere. Le loro azioni vanno inquadrate nel contesto delle risposta sempre più militarizzata alla crisi dei rifugiati da parte dell’Unione Europea.
All’insegna del “contrasto all’immigrazione clandestina”, la Commissione europea prevede di trasformare l’agenzia per la sicurezza delle frontiere Frontex in una più potente “Guardia costiera e di frontiera europea” (European Border and Coast Guard – EBCG). Questo permetterà il controllo delle attività di sicurezza delle frontiere degli Stati membri e un ruolo più attivo come guardia di frontiera, compreso l’acquisto delle proprie attrezzature. L’agenzia è sostenuta da EUROSUR, un sistema europeo che collega gli Stati membri e altri Stati per il monitoraggio e la sorveglianza delle frontiere. La militarizzazione della sicurezza delle frontiere si manifesta anche negli scopi militari della “Forza navale dell’Unione europea – Mediterranea Operazione Sophia” (EUNAVFOR MED), così come nell’impiego di militari su molti confini, tra cui quelli di Ungheria, Croazia, Macedonia e Slovenia. Le missioni navali NATO nel Mediterraneo stanno già sostenendo attivamente la sicurezza delle frontiere dell’UE.[20]
Da un recente rapporto sulla questione emergono alcuni dati che crediamo siano di notevole interesse.
Il mercato della sicurezza delle frontiere è in piena espansione. Stimato in circa 15 miliardi di euro nel 2015, si prevede che per il 2022 supererà annualmente i 29 milioni di euro.
Anche l’esportazione di armamenti, in particolare le vendite al Medio Oriente e al Nord-Africa da dove la maggior parte dei rifugiati fugge, è in piena espansione. Le esportazioni di sistemi militari verso il Medio Oriente è aumentato del 61 per cento tra il 2006-10 e il 2011-15. Tra il 2005 e il 2014, gli Stati membri dell’UE hanno concesso licenze per esportazioni di sistemi militari verso il Medio Oriente e Nord Africa per un valore di oltre 82 miliardi di euro
Le politiche europee per i rifugiati, che si sono concentrate sul contrasto ai trafficanti e nel rafforzare le frontiere esterne (anche in paesi al di fuori dell’Unione Europea) hanno portato a consistenti aumenti di bilancio di cui beneficiano le aziende del settore.
– Il finanziamento totale dell’UE per le misure di sicurezza delle frontiere attraverso i principali programmi è di 4,5 miliardi di euro tra il 2004 e il 2020;
– Il bilancio di Frontex, la principale agenzia di controllo delle frontiere dell’UE, tra il 2005 e il 2016 è aumentato del 3688% (da 6,3 milioni a 238,7 milioni di euro);
– Ai nuovi Stati membri dell’UE sono state richieste politiche di rafforzamento delle frontiere come condizione di appartenenza, creando così un mercato per ulteriori profitti. Materiale acquistato o aggiornato con gli stanziamenti del Fondo per le Frontiere Esterne comprende 545 sistemi di sorveglianza delle frontiere, 22.347 sistemi di sorveglianza delle frontiere e 212.881 sistemi operativi per i controlli alle frontiere;
– Alcune delle autorizzazioni all’esportazione verso i paesi del Medio Oriente e del Nord Africa riguardano il controllo delle frontiere. Nel 2015, ad esempio, il governo olandese ha concesso una licenza di esportazione del valore di 34 milioni di euro alla Thales Nederland per la fornitura all’Egitto di radar e sistemi C3 nonostante le reiterate denunce di violazioni dei diritti umani nel paese.
L’industria europea della sicurezza delle frontiere è dominata da grandi aziende produttrici di sistemi militari: tutte hanno approntato o ampliato il settore dei prodotti per la sicurezza e i rapporti con diverse piccole imprese specializzate nelle tecnologie informatiche. Finmeccanica, il colosso dell’industria degli armamenti, ha identificato “il controllo delle frontiere e i sistemi di sicurezza” come uno dei driver principali per l’incremento degli ordini e dei ricavi.
I big player della sicurezza dei confini dell’Europa sono aziende produttrici di sistemi militari come Airbus, Finmeccanica, Thales e Safran, e il gigante delle tecnologie Indra. Finmeccanica e Airbus sono stati i vincitori di contratti dell’UE particolarmente importanti volti a rafforzare i controlli delle frontiere. Airbus è anche il vincitore dei maggiori contratti di finanziamento dell’UE della ricerca nel settore della sicurezza.
Finmecannica, Thales e Airbus, protagonisti nel settore della sicurezza dell’UE, sono anche tre dei primi quattro produttori ed esportatori di sistemi militari europei e sono fornitori di sistemi militari ai paesi del Medio Oriente e del Nord Africa. I loro ricavi totali nel 2015 sono stati pari a 95 miliardi di euro.
Tra aziende non europee che hanno ricevuto finanziamenti per la ricerca vi sono solo alcune aziende israeliane: ciò è stato possibile a seguito di un accordo del 1996 tra l’Unione europea e Israele. Queste aziende hanno svolto un ruolo nel fortificare i confini di Bulgaria e Ungheria, promuovendo il knowhow sviluppato con l’esperienza del muro di separazione in Cisgiordania e del confine di Gaza con l’Egitto. L’azienda israeliana BTec Electronic Security Systems è stata selezionata da Frontex a partecipare al laboratorio svolto nell’aprile 2014 su “Sensori e piattaforme di sorveglianza delle frontiere”: l’azienda vantava nella sua domanda di applicazione via mail che le sue “tecnologie, soluzioni e prodotti sono installati sul confine israelo-palestinese”.
L’industria degli armamenti e della sicurezza ha contribuito a definire la politica europea di sicurezza delle frontiere con attività di lobby e per mezzo delle abituali interazioni con le istituzioni europee per le frontiere e anche delineando le politica per la ricerca. L’Organizzazione europea per la Sicurezza (EOS), che comprende Thales, Finmecannica e Airbus, ha fatto pressioni per una maggiore sicurezza delle frontiere. Inoltre, molte delle sue proposte, come ad esempio la spinta ad istituire un’agenzia europea per la sicurezza delle frontiere, sono diventate politiche europee: è il caso, ad esempio, della trasformazione di Frontex in “Guardia costiera e di frontiera europea” (European Border and Coast Guard – EBCG). Infine le giornate biennali di Frontex/EBCG e la loro partecipazione a tavole rotonde sul tema della sicurezza e ai saloni fieristici dedicate ai sistemi militari e alla sicurezza garantiscono una comunicazione regolare e una naturale affinità per la cooperazione.
L’industria degli armamenti e della sicurezza ha ottenuto anche gran parte dei finanziamenti di 316 milioni di euro forniti dall’UE per la ricerca in materia di sicurezza, contribuendo a definire l’agenda per la ricerca e la sua realizzazione e, di conseguenza, beneficiando spesso dei contratti che ne derivano. Dal 2002, l’UE ha finanziato 56 progetti nel campo della sicurezza e del controllo delle frontiere.
Nell’insieme i fatti mostrano una crescente convergenza di interessi tra leader politici europei che cercano di militarizzare le frontiere e le principali aziende del settore della difesa e della sicurezza che forniscono i servizi.[21]
Agir pour la paix ha recentemente organizzato un lobby tour incentrato sul rapporto tra l’industria delle armi e della sicurezza e le politiche migratorie. Un percorso in cui veniva mostrata la vicinanza, anche fisica, tra i produttori di armi e di tecnologie per la sicurezza e le istituzioni europee.
Al numero 11 del rond-point Schuman, per esempio, c’è l’ufficio del consorzio europeo di produttori di missili Mbda[…]. Mbda è una joint venture tra Finmeccanica Leonardo, l’azienda britannica Bae Systems e il gruppo franco-tedesco Airbus, i tre produttori che, insieme alla francese Thales, traggono maggiori profitti dal rafforzamento dei controlli alle frontiere europee e dalla cooperazione con paesi terzi per bloccare gli “indesiderati” diretti in Europa […]. Le convergenze tra aziende del settore e istituzioni europee non si costruiscono solo grazie al lavoro delle lobby, alle quali bisogna riconoscere il merito di presentarsi per quello che sono: gruppi di pressione che difendono gli interessi di un dato settore (in modo più o meno corretto, ma questo è un altro discorso). Molto più ambiguo è il ruolo di altre realtà evocate da Stéphanie, come alcuni centri di studio o gruppi di esperti che, pur contando numerosi rappresentanti dell’industria tra i loro amministratori o iscritti, forniscono alle istituzioni europee pareri e raccomandazioni presentandoli come imparziali.[…] L’attuale responsabile dei rapporti istituzionali di Finmeccanica a Bruxelles, Massimo Baldinato, è stato assunto nel 2015 dopo aver lavorato sei anni nel gabinetto dell’allora Commissario europeo per l’industria e l’imprenditoria Antonio Tajani. I casi di porte girevoli non sono rari da queste parti, ma se consideriamo i principali produttori di tecnologie di sicurezza, Finmeccanica è l’unico ad avere un rappresentante proveniente dalle istituzioni europee. Al percorso professionale di Baldinato si è interessato anche Corporate Europe Observatory, che da anni denuncia il lassismo della Commissione di fronte a casi del genere […]. Quando Stéphanie annuncia la fine della visita guidata, l’atmosfera che regna tra i partecipanti è piuttosto sconfortata. “I migranti sono il carburante dell’industria della sicurezza”, riassume lei. Non è tanto la spregiudicatezza dei produttori a scandalizzare quanto la connivenza di parte delle istituzioni europee: il Consiglio europeo, attraverso il quale i governi difendono gli interessi delle aziende nazionali, e la Commissione guidata da Juncker, che pur non avendo inaugurato la lotta con (quasi) ogni mezzo all’immigrazione detta irregolare, ne ha fatto un perno della sua agenda sulla migrazione.[22]
E’ bene ricordare che i mezzi militari acquistati con la retorica umanitaria dei “salvataggi in mare” e la militarizzazione delle frontiere hanno rafforzato quegli apparati militari che si stanno riorganizzando nell’ottica di uno scontro totale e che questi mezzi militari molto spesso vengono usati per operazioni militari di attacco. A questo proposito ricordiamo che alla fine del 2015 il dipartimento di Stato americano ha approvato la richiesta dell’Italia, presentata nel 2012, di armare due suoi droni MQ-9 Reaper con missili aria-terra Hellfire, bombe a guida laser e altre munizioni. Un accordo dal valore di 129,6 milioni di dollari. Solo Stati Uniti e Inghilterra possiedono in dotazione questi armamenti. D’altronde l’aeronautica militare italiana è stata la prima forza aerea alleata ad ordinare, nel 2001, i Predator statunitensi, protagonisti del conflitto kosovaro del 1999. E’ notizia del 14 aprile 2016 che «il mezzo anfibio descritto come un appoggio al soccorso dei migranti (844 milioni) si rivela una nave da guerra per gli F35 (1,1 miliardi)» e che ai parlamentari chiamati ad approvare il gigantesco stanziamento da 5,4 miliardi di euro nell’inverno 2014/2015, emerge dai documenti, Marina e Difesa fornirono all’epoca informazioni parziali o distorte sulla vera natura e la vera dimensione del programma. Si parlò di unità navali economiche e “a doppio uso”, con impieghi di soccorso umanitario e protezione civile, sottacendo dati e caratteristiche tecniche che avrebbero svelato le reali intenzioni dei militari e preventivando costi inferiori a quelli dei contratti stipulati dopo l’ok del Parlamento.[23]
V
Il palcoscenico di Lampedusa
Lo spettacolo del confine e i confini dello spettacolo
L’immaginario non riflette una pratica, ma al contrario partecipa a questa pratica come parte, come elemento che la costituisce.
Pierre Ansart
Il 9 novembre del 1973 Pier Paolo Pasolini pubblicava sul «Corriere della Sera» un articolo dal titolo Acculturazione e acculturazione dove presagiva il completo appiattimento della società italiana sotto l’influsso dei nuovi mezzi di comunicazione e del consumismo da essi propagandato. Ancora prima Guy Debord, nel suo La società dello spettacolo, del 1967, descriveva una società in cui il capitale si manifestava e incarnava nello spettacolo. Questo capovolgimento del reale si origina sin dal sistema di produzione e scambio: la merce stessa assume un valore di scambio che trascende il suo valore d’uso, lo sorpassa e così facendo trascende il reale stesso.
È necessario, perché lo scambio abbia luogo, che il valore di ogni merce sia rappresentato in un’altra merce, e poi – nella forma avanzata del valore – che il valore di ogni merce sia rappresentato in una serie indefinita di altre merci equivalenti. Questo vuol dire che lo scambio presuppone, in quanto pratica effettiva, una certa organizzazione di rappresentazioni; presuppone che le merci, non apparendo più come un valore immediatamente qualitativo e come un valore d’uso, si facciano oggetto di una nuova percezione e divengano, per il produttore e lo scambista, l’immagine o l’espressione di quello che non sono.[24]
Se nel lavoro salariato avviene la produzione della merce e lo sfruttamento con cui si estrae il plus-valore, nel dopo lavoro si passa ad un altro momento della catena di montaggio, l’illusione di “essere” nella vita reale, di fronte ad uno schermo. Dagli anni sessanta ad oggi i mezzi di comunicazione e le nuove tecnologie hanno portato questo processo ad un punto di non-ritorno. Parallelamente a questo processo di spettacolarizzazione totale, le contraddizioni reali emergono e si amplificano nei moderni confini: luoghi militarizzati in cui si mette in scena “Lo spettacolo del confine” che è ancora una volta “il capovolgimento del reale”, la sua trasformazione in realtà virtuale ad uso e consumo dei consumatori/spettatori. Masse di persone, spesso in fuga da guerre e dalla guerra del capitale, diventano allora eserciti di lavoratori di riserva, mediaticamente rovesciati, rimodulati, ridefiniti, criminalizzati ed usati per stimolare la grande “paura europea” e le politiche sulla sicurezza oppure, con una doppia contorsione, possono divenire masse di “poveri cristi” da salvare, magari con navi militari e droni di ultima generazione.
Un doppio schema che continua ad essere riprodotto:
1) Primo schema: Clandestini; Terroristi; Cattivi; Invasori; Ladri; etc. etc.
Questa rappresentazione criminalizza e stigmatizza, nell’atto stesso con cui la costituisce, la figura dell’immigrato.
Come spiega bene Nicholas De Genova:
I migranti diventano “illegali” soltanto quando le misure, legislative o esecutive, rendono specifiche migrazioni o tipi di migrazione “illegali” – o in altre parole, le illegalizza. Da questo punto di vista, non ci sono davvero dei migranti “illegali”, ma piuttosto migranti illegalizzati.[25]
2) Secondo schema: Il povero cristo; Il povero migrante; un derelitto che migra spinto da ragioni legate al clima, alle calamità naturali, ad una sorte beffarda, ad una non meglio definita cattiveria umana etc, etc.
In quest’altra rappresentazione vediamo un corpo che è ridotto ad una condizione esclusivamente biologica, privato della sua dimensione politica e storica. Una rappresentazione “umanitarista” che fa del “povero migrante” un corpo animale da sfamare, scaldare, riparare, dissetare. L’elemento “naturalistico/animalesco” si amalgama con quello “umanitario”, cioè legato ad un diritto avulso dalla realtà e dalle specificità dei soggetti inseriti in un processo collettivo e storico. Un diritto fondato su un’astratta universalità e su un’immutabilità dei bisogni che è sempre la società dei “salvatori” a definire e a normare.
In entrambe le rappresentazioni non trovano spazio le parole dei diretti interessati e ad entrambe le rappresentazioni fanno seguito le medesime risposte e le stesse politiche: militarizzazione dei confini, emergenze, centri di detenzione per le persone migranti e conseguente mercificazione dei loro corpi, sovrapposizione delle strategie militari a quelle umanitarie di “salvataggio”, stravolgimento delle comunità locali investite dalla “gestione delle migrazioni”, creazione di un esercito di lavoratori sfruttabili e senza diritti.
In entrambi i paradigmi sopra riportati le migrazioni vengono esposte come un dato di fatto, qualcosa di dato, di naturale. Non sappiamo perché si sono generate, quale dimensione storica abbiano e perché queste persone non possano viaggiare come noi. Il sistema economico capitalista si sviluppa attraverso lo sfruttamento di grandi aree del pianeta e grandi masse di lavoratori ed ha avuto una delle sue premesse originarie nell’accumulazione avvenuta nelle colonie. Guerre, saccheggi, schiavismo, stermini, campi di concentramento, sono state le prassi degli Stati europei nei confronti delle colonie a partire dal XV secolo ed hanno creato “i contesti” dei paesi di emigrazione. Il profitto, posto come fine ultimo di ogni attività umana, diviene la religione del nostro tempo e i mezzi di comunicazione divengono potenti oracoli in grado di mediare la verità divina.
Lampedusa diventa una delle parole chiave del discorso contemporaneo, strumento polifunzionale in mano al potere dominante: palcoscenico mediatico, avamposto militare, luogo di sperimentazione sociale, luogo per creare e mettere in scena l’emergenza perpetua, “Porta d’Europa”, isola dei respingimenti o simbolo dell’accoglienza e dei diritti umani, “capitale morale del mediterraneo”, “scenario emotivamente importante”.
Il discorso dominante, una volta strutturato, diviene quasi automatico e dal discorso molto spesso si viene risucchiati. Sono molti gli esempi su Lampedusa che, partendo da un immaginario precostituito e funzionale ai processi imperialisti (guerra, accumulazione di capitale, sfruttamento), si moltiplicano e si riproducono. Non si guarda più ad una realtà, che è sempre dialettica e che nel caso di Lampedusa ha una complessità fortissima ma, appunto, ci si muove acriticamente a partire da una rappresentazione data.
In altre forme è quello che accadde nella pittura del XVI secolo, con il manierismo. Con la differenza che Vasari si rivolgeva agli artisti del suo tempo suggerendo di partire da Michelangelo, Raffaello e Leonardo, dalla loro interpretazione della natura, per acquisire la “bella maniera”. Nel nostro caso sono ben altri i modelli indicati e i risultati ottenuti. È il processo di costruzione del sapere ad uso colonialista, descritto da Edward Said in Orientalismo, che si può prendere a modello per leggere l’opera di mistificazione fatta su Lampedusa.
Cerchiamo di capire allora che tipo di immagine di Lampedusa si è costruita, in maniera più forte dal 2013 (prima con la visita del Papa e poi con la strage del 3 ottobre e le rappresentazioni che ne sono scaturite), sino ad oggi:
– i lampedusani: eroi, accoglienti e pronti a rischiare la vita per salvare e accogliere i migranti;
– i militari e le varie forze dell’ordine che salvano vite umane in mare;
– le ONG e le associazioni umanitarie che presidiano Lampedusa per garantire i diritti umani dei migranti;
– il centro di accoglienza che nonostante le difficoltà è un modello da esportare in Europa;
– i migranti: poveri cristi che scappano da guerre e carestie o possibili terroristi da identificare e schedare;
– una serie di definizioni sull’isola che vengono ripetute: Porta d’Europa, capitale morale del Mediterraneo, coscienza dell’Europa, isola dell’accoglienza, isola degli sbarchi.
Per questo quadro passano una serie di messaggi più o meno velati che ora tenteremo di svelare.
Partiamo da un film per la TV trasmesso recentemente dalla Rai.
Il fallimento, facilmente prevedibile, di Lampedusa, è il prodotto di una catena di responsabilità che coinvolgono solo in ultima istanza il regista Pontecorvo, il quale non firma nemmeno la sceneggiatura, scritta da Andrea Purgatori con Laura Ippoliti. Siamo davanti ad un’impasse industriale, di formula: viene da pensare che, poste determinate opzioni irrinunciabili di plot e sceneggiatura – il punto di vista appannaggio pressoché esclusivo di personaggi italiani-doc, l’asimmetria sistematica fra italiani individualizzati e migranti ridotti a cliché, l’adozione dell’italiano per il 99% dei dialoghi – i risultati non possano che essere disastrosi sul piano dei modi di rappresentazione.[…] Ma c’è un altro aspetto che ritengo davvero agghiacciante nella ratio che sembra aver governato la confezione di questa miniserie. Non solo si dà per inteso che la maggior parte degli spettatori (e spettatrici) di Lampedusa negli ultimi dieci anni abbiano vissuto in un qualche eremo sperduto, senza aver mai sentito parlare di quello che succede quotidianamente in un tratto di mare, lo Stretto di Sicilia, trasformatosi in un vero e proprio cimitero. Si dà anche per pacifico, per quelli che invece hanno una qualche cognizione di causa benché del tutto distorta, essendo intossicati da decenni di cattiva informazione e pensiero unico contrario al riconoscimento di un diritto umano essenziale come quello di movimento, che queste stragi quotidiane accadono per un, sì doloroso, concorso di circostanze, il quale tuttavia appartiene all’ordine delle cose. Far dire nell’epilogo a Serra/Amendola che prima di giudicare bisogna venire a Lampedusa e vedere con i propri occhi, quando proprio l’ottica scelta nella costruzione complessiva della fiction è uno sguardo che tratta i migranti come fossero “solo” migranti e non avessero ciascuno o ciascuna un paese d’origine, una storia, una meta diversa da raggiungere e che non allude neppure in modo indiretto ai colossali interessi che si giocano ogni giorno sulla pelle di queste persone, equivale a dire, anche a chi volesse saperne di più, che in fondo non c’è niente da capire, che è tutto lì, che la realtà delle cose è autoevidente, che basta aprire gli occhi.[26]
Ecco uno degli articoli che presentava la serie TV:
Lampedusa, fiction di Rai 1 con protagonista Claudio Amendola, andrà in onda il 20 e il 21 settembre 2016, salvo cambi di programmazione da parte della tv pubblica. La trama, come suggerisce il titolo, sarà incentrata sul tema dell’immigrazione clandestina, e si concentrerà in particolar modo su chi ospita i migranti (Guardia Costiera e abitanti dell’isola) e su chi ne segue il percorso in prima persona (volontari, operatori sanitari e amministrazione pubblica). Claudio Amendola vestirà i panni di Serra, responsabile della Capitaneria di porto, mentre Carolina Crescentini sarà Viola, la responsabile del centro di accoglienza. L’appuntamento con la mini-serie ‘Lampedusa‘ è fissato sugli schermi di Rai 1 per martedì 20 e mercoledì 21 settembre 2016, in prima serata.[27]
Alla luce di quanto detto possiamo sviluppare alcuni punti:
1) La trama, come suggerisce il titolo, sarà incentrata sul tema dell’immigrazione clandestina.
Il titolo della serie è “Lampedusa” e per chi scrive l’articolo l’isola è associata in maniera automatica al tema dell’immigrazione clandestina, semplificando la complessità storica e politica dell’isola, riducendola appunto a “l’isola degli sbarchi”.
2) si concentrerà in particolar modo su chi ospita i migranti (Guardia Costiera e abitanti dell’isola). Per chi presenta il film ad ospitare i migranti sono gli abitanti dell’isola e la Guardia Costiera. Un’affermazione che non ha nessun aggancio con la realtà in quanto i migranti sono reclusi all’interno dell’Hot Spot e in alcuni momenti riescono ad uscire da un buco della recinzione della struttura di detenzione. La Guardia Costiera non ha mai avuto il compito di accogliere i migranti ma solamente del soccorso in mare e gli abitanti non hanno mai accolto i migranti nelle loro case se non in rare eccezioni. Tra l’altro proprio quest’anno che per la prima volta i migranti uscivano dall’Hot Spot anche in estate (sempre da un buco della recinzione) ci sono state una serie di lamentele da parte di alcuni gestori di attività turistiche perché i migranti facevano il bagno nelle spiagge insieme ai turisti (lamentele spesso sollevate anche da alcuni turisti). La questione, tra le altre cose, è stata discussa in una riunione con il prefetto di Agrigento, durante la quale alcuni operatori turistici dell’isola chiedevano di non fare uscire i migranti o quanto meno di impedire che facessero il bagno in spiaggia.
3) su chi ne segue il percorso in prima persona (volontari, operatori sanitari e amministrazione pubblica). Non si capisce di quale percorso si parla visto che il percorso dei migranti è segnato e precostituito da scelte politiche dell’UE e da dispositivi militari. Il margine di operatività di questi soggetti è fortemente limitato dalla loro organica funzionalità alla gestione militare e politica delle migrazioni e dalla loro strumentalizzazione. Sono pochissime le eccezioni ad un tale quadro, ad esempio il progetto di Mediterranen Hope, che riteniamo positivamente diverso dal resto dei vari progetti che in questi anni si sono susseguiti a Lampedusa, o il Forum per l’accoglienza. In generale, comunque, la pressoché totalità dei soggetti coinvolti nel dispositivo migratorio svolgono la loro attività dietro compenso. Inoltre tutto l’iter per la richiesta di asilo o per trovare un lavoro segue la logica della marginalizzazione e della creazione della clandestinità creata con le leggi recepite dall’UE, che hanno avuto la funzione di agevolare la creazione del Mercato Interno europeo, accumulare capitale in poche mani e distruggere le condizioni sociali, economiche e politiche dei lavoratori. Un richiedente asilo può aspettare anche due anni prima di poter incontrare la Commissione che stabilisce di assegnare o meno lo status di rifugiato. In questi anni di attesa il richiedente asilo non può lavorare ed è costretto ad essere assistito dallo Stato. Questi tempi e questi modi sono, per gli avvocati che si occupano dei richiedenti asilo politico, una manna dal cielo. Se la richiesta non viene accettata il “migrante” si troverà con un foglio di via in mano, da solo e quasi sempre andrà a lavorare in nero, senza documenti e sfruttato.
4) Si parla di Centro di Accoglienza mentre da anni il centro di Lampedusa ha assunto forme che sono in prima istanza di detenzione e identificazione.
Da anni vengono denunciate, da più parti, le condizioni del centro per migranti di Lampedusa ma queste denunce vengono coperte dalle visite spettacolo di esponenti dello Stato come il presidente della Repubblica Mattarella: la sua visita al centro per migranti di Lampedusa è mostrata da un video che ne propaganda un’immagine tranquilla e serena di pulizia e cordialità.
Il video della visita all’Hotspot di Lampedusa del presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella
Un video delle condizioni dell’Hot Spot dello stesso periodo pubblicato da Askavusa
Mattarella inoltre dichiarava, riferendosi ai militari: «Sono eroi della vita quotidiana. È grazie a loro che il Mediterraneo non si è trasformato in una grande tomba». Queste affermazioni e immagini vengono confermate e amplificate proprio dalla rappresentazione che di Lampedusa fanno film come quello andato in onda per la RAI a settembre o in maniera più sofisticata da film come Fuocoammare.
Il 10 giugno del 2016 arrivava addirittura Richard Gere a confermare il copione scritto su Lampedusa: «Sono stupito per il clima familiare che ho trovato all’interno del centro […]. Gere ha mangiato lo stesso menù degli ospiti: pollo con verdure e riso bianco speziato»[28]
La visita di Gere si arricchisce di una nota che è indice dell’importanza che queste visite hanno anche per gli “attori” locali. Il sindaco Giusi Nicolini, infatti, in occasione della visita hollywoodiana, scriveva una lettera al prefetto Morcone per esprimere il suo disappunto: non per le dichiarazioni di Gere che descrive una realtà distorta sull’Hot Spot di Lampedusa ma bensì per il fatto di non essere stata avvisata e di non aver potuto incontrare l’attore: «Non incontrando la comunità, non si aiuta l’isola»[29] dichiarava la Nicolini.
Lo stesso copione vale per la visita del Presidente del Senato Grasso (qui un approfondimento), l’8 luglio 2016, che dichiara che «Il modello dell’hotspot di Lampedusa va esportato», snocciolando tutta la retorica su Lampedusa: «I cittadini italiani devono essere fieri di quello che si fa a Lampedusa, di quello che fanno i lampedusani, l’amministrazione, le forze dell’ordine per quelli che sono i valori in cui crediamo di solidarietà e accoglienza»[30].
Il 22 luglio 2016, però, Federico Gelli (PD), presidente della commissione d’inchiesta Migranti dichiara: «La struttura di accoglienza di Lampedusa si è dimostrata totalmente inadeguata, con una scarsa manutenzione e una gestione da rivedere che sia in grado di contenere al meglio l’emergenza migranti»[31].
In seguito alla vincita dell’Orso d’Oro di Berlino del film Fuocoammare (qui una nostra critica al film), seguivano un fiume di dichiarazioni e spot politici, ne riportiamo solo un paio:
Boldrini:
L’arte riesce a mettere a fuoco un tema importante, lì dove la politica europea non trova la chiave di volta, si dimostra inefficace, e dove sembra esserci una gara in corso a chi costruisce muri e a chi fa peggio. Io sono orgogliosa del nostro Paese che tiene la linea e continua a salvare vite umane. E dall’arte, ne è un esempio questo film, può venire un valido aiuto in tal senso, un aiuto a tenere la linea.[32]
È il 25 febbraio, lo stesso giorno in cui l’Italia programma l’intervento in Libia auspicando un governo di unità nazionale libico che possa chiedere l’intervento militare della NATO contro l’ISIS. Tradotto: La NATO ha bisogno di legittimità internazionale e di una giustificazione dell’opinione pubblica per l’invasione della Libia.
Renzi regala una copia di Fuocoammare ai capi di Stato europei in occasione di un vertice UE e nel biglietto che accompagna il DVD c’è scritto «Un lavoro che racconta la magia dell’accoglienza, e i doni eccezionali della gente di Lampedusa, per cui un migrante è sempre, prima di tutto, un essere umano».
Ritornando sulla rappresentazione dell'hotspot di Lampedusa in Fuocoammare un gruppo di migranti canta una sorta di gospel in cui, tra le altre cose dicono “Ci hanno rinchiuso in prigione. Molti sono rimasti in prigione per un anno. Molti sono rimasti in prigione per sei anni, molti sono morti in prigione. La prigione in Libia era terribile. Non davano da mangiare. Ci picchiavano ogni giorno, non c’era acqua e molti sono scappati. Oggi siamo qui e Dio ci ha salvati”. L’altra scena all’interno dell’hotspot è di una partita a calcio. Ovviamente se la prefettura ti dà il permesso di girare farà in modo di farti trovare l’hotspot in una condizione quantomeno dignitosa ma Rosi aveva ascoltato anche noi rispetto alle condizioni dell’hotspot. Si è preferito parlare delle “terribili” carceri libiche invece che delle reali condizioni dell’hotspot di Lampedusa. (da lì a poco sarebbe stato dato alle fiamme per la terza volta, quattro se si considera anche l’incendio nella vecchia struttura vicina all’aeroporto).
Ecco cosa scrivevano in un comunicato un gruppo di migranti in protesta nel maggio 2016:
Proteste di un gruppo di persone “migranti” per le condizioni dell’hotspot e le procedure di identificazione.
“Noi siamo profughi/rifugiati siamo venuti qui perché scappiamo dai nostri paesi in guerra, i paesi da cui proveniamo sono Somalia, Eritrea, Darfur (Sudan), Yemen, Etiopia. Il trattamento che riceviamo nel campo di Lampedusa è inumano (ci sono stati anche casi di maltrattamento per il forzato rilascio delle impronte digitali da parte delle forze dell’ordine). Se non lasciamo le impronte gli operatori della gestione del centro sono aggressivi verbalmente e fisicamente nei nostri confronti, ci sono discriminazioni per la distribuzione dei pasti e ci vietano di giocare a pallone nel cortile. I materassi sono bagnati dall’acqua che esce dai bagni e questo può causarci anche malattie. Ci sono minori, donne incinte e persone con problemi di salute che non ricevono le cure adeguate. Siamo a Lampedusa, chi, da 2 mesi, chi, da 4 mesi. Finché non ci daranno la possibilità di andare via da questa prigione in un luogo in cui ci sono condizioni di vita più dignitose ci rifiuteremo di dare le impronte. Siamo venuti per il bisogno di libertà, umanità e pace che pensavamo ci fosse in Europa. Non vogliamo essere rinchiusi in una prigione senza aver commesso reato, vogliamo una vita più dignitosa e provare ad avere protezione dato che scappiamo da situazioni che ci mettono in condizioni di rischiare la vita. Lasciare le impronte in queste condizioni non ci lascia la libertà delle nostre scelte future come ad esempio potersi ricongiungere ai propri familiari o comunità già presenti negli altri paesi.
VOGLIAMO ANDARE VIA DA LAMPEDUSA PER AVERE LA PROTEZIONE CHE CERCHIAMO SCAPPANDO DAI NOSTRI PAESI. MOLTI DI NOI SONO IN SCIOPERO DELLA FAME E DELLA SETE E NON SMETTERANNO FINCHÉ NON SARANNO SODDISFATTE LE NOSTRE RICHIESTE.[33]
La rivista «I Love Sicilia» dedicava, nel febbraio 2016, la copertina all’Orso d’Oro vinto a Berlino da Fuocoammare e a Lampedusa.
La retorica è sempre la stessa e ancora una volta attraverso l’immaginario su Lampedusa si fanno passare alcune mistificazioni della retorica umanitaria ad uso dell’imperialismo e dell’atlantismo. In una della pagine del lungo servizio pieno di frasi come “Un Nobel per i lampedusani” o “Gli eroi normali di Lampedusa” si pubblica un estratto del libro Lampaduza di Davide Camarrone:
La morte qui a Lampedusa, ha due ancelle. La crudeltà dei passeurs di mare, che stipano a suon di bastonate quanti più migranti possono su vecchie carrette dai motori sfasciati o pronti a fermarsi […] E poi c’è la crudeltà dei governi. Di quello libico innanzitutto. Con Muammar al Gheddafi, uno dei tanti dittatori corrotti del continente africano, la vita dei migranti era cosa che si poteva comprare, vendere e scambiare, proprio come tutto il resto.
Un chiaro esempio, questo, di come il discorso dominante si riproduce e si moltiplica, prima attraverso un libro dal titolo Lampaduza e poi tramite un mensile (tra l’altro un mensile di “stili, tendenze e consumi”). Tutto ciò ben si lega alle sconcertanti dichiarazioni del guru dell’umanitarismo armato e neocoloniale, quella Boldrini che il 3 ottobre 2014 dichiarava che «C’è in atto una guerra tra gli uomini e il mare». Inoltre scaricare la colpa delle morti in mare su Gheddafi o sugli scafisti è un altro caso da manuale del discorso imperialista su Lampedusa e sulle migrazioni.
In questa enorme falsificazione ci si ritrova a fare i conti con quella verità capovolta di cui parlava magistralmente Guy Debord: «Nel mondo realmente rovesciato il vero è un momento del falso».
Si può assistere al fatto che gli stessi soggetti che si lamentano perché l’immigrato fa il bagno in una spiaggia pubblica frequentata dai turisti, ritirino poi un premio per l’accoglienza. Lo stesso soggetto che si lamenta quando i migranti protestano per le condizioni dell'hotspot può ritrovarsi in prima fila ad applaudire Mattarella quando afferma che i Lampedusani sono un esempio di accoglienza e solidarietà.
Nella rappresentazione dominante l’immigrato è ritratto passivamente, magari all’interno di una cornice fatta da un orso d’oro o riprodotto in un presepe da vendere ai turisti con tanto di Porta d’Europa, gabbiano e tartaruga. Se invece l’immigrato diviene un soggetto portatore di rivendicazione e di conflitto allora va ignorato (nel migliore dei casi) o rimodulato. La frase che spesso si sente pronunciare è: «ma come noi li accogliamo e loro si comportano così»? Ovviamente le dinamiche che hanno portato alcuni lampedusani ad assumere certi comportamenti andrebbero approfondite meglio ma quello che a noi preme sottolineare in questo momento è che l’uso mediatico che si fa di Lampedusa ha scopi ben precisi e che la retorica umanitaria/militare ha coperto le più grandi nefandezze degli ultimi anni, tra cui quella della creazione e gestione (attraverso leggi e prassi) dell’immigrazione clandestina da parte dell’UE e della NATO.
Dal 30 settembre al 2 ottobre a Lampedusa si celebrerà il Prix Italia, organizzato ancora una volta dalla RAI, che essendo il principale strumento di regime nella costruzione dell’immaginario collettivo ha giocato un ruolo decisivo nella costruzione del palcoscenico e del simbolo di Lampedusa con annessa la retorica umanitaria/militare.
Come non ricordare il film La scelta di Catia. 80 miglia a sud di Lampedusa mandato in onda il 6 ottobre 2014 (mentre era in atto la missione Mare Nostrum) su Rai 3. Riportiamo una parte della descrizione che si trova nel sito della RAI :
Catia ha fondato su questa esperienza la sua missione e il suo modo di guidare e infondere motivazione nel suo equipaggio. I marinai quando indossano le tute sanitarie bianche e si apprestano a soccorrere i migranti sembrano trasformarsi in “angeli” involontari, loro che si erano formati per fare la guerra e che adesso si trovano a salvare vite nella desolazione di un Mediterraneo che a volte fa paura.
Per il Prix Italia 87 Enti radiotelevisivi pubblici e privati, in rappresentanza di 46 Paesi dei cinque continenti, sono coinvolti nella manifestazione. I tempi non sono mai a caso, se Fuocoammare arrivava subito prima dell’attacco in Libia e subito dopo la propaganda tedesca sull’accoglienza dei profughi siriani, il film per la TV e il premio della RAI arrivano in una fase avanzata della guerra dove è presumibile che aumenti anche il numero di persone in fuga. Ancora una volta assistiamo ad un fenomeno di riproduzione e moltiplicazione dell’immaginario costituito. Abbiamo la strage del 3 ottobre e la falsificazione dei fatti avvenuta attraverso gli apparati mediatici del potere con sempre la RAI in testa. La retorica intorno alla strage del 3 ottobre viene poi riprodotta ogni anno attraverso le manifestazioni di commemorazione svolte a Lampedusa con in testa il Comitato 3 ottobre. Questa retorica e la sua falsificazione vengono traslate nel film Fuocoammare che a sua volta viene messo in circolazione attraverso articoli, citazioni e proclami politici. Ciò che Marc Augè chiama “finzionalizzazione” del mondo ha nei processi di mediatizzazione di Lampedusa uno degli esempi migliori.
Anche nel campo della musealizzazione gli stessi soggetti che costruiscono l’immaginario collettivo hanno realizzato a Lampedusa il “Museo della fiducia e del dialogo”. Recentemente Pietro Clemente pubblica su «Dialoghi mediterranei» un interessante articolo sui musei dove fa una riflessione anche su Lampedusa.
Sono gli oggetti, dunque, anche un mondo di potenze da esplorare, dotati talora di forza magica, come in alcuni musei africani e nativi americani viene ricordato, potenziali fondatori di musei e feticci dei collezionisti, ma anche realtà distinte per rintracciare fila antropologiche di vari mondi. Penso ora alle varie iniziative di museografia che stanno nascendo a Lampedusa intorno alla drammatica trasformazione di quell’isola in un interfaccia mondiale dei processi migratori dai sud ai nord del mondo. Penso alla mia perplessità per il progetto di Museo della fiducia, inaugurato di recente a Lampedusa dal presidente Mattarella e tante autorità, con opere dei grandi musei, un Caravaggio che viene dagli Uffizi, un documento archeologico dal museo del Bardo di Tunisi, il tutto “Verso un museo della fiducia e del dialogo per il Mediterraneo”. Difficile affrontare il mondo migratorio con i nostri oggetti-simbolo tratti da musei che sono a loro modo espressione di una cultura di élite. Quanta immane fatica si spreca anche nel dialogo tra museali e potere: come non pensare che il grande progetto euro-mediterraneo del Museo di Marsiglia (figlio del MNATP di Parigi lì trasferito e inscatolato) il MUCEM, Musée des civilisations de l’Europe et de la Méditerranée, cercava proprio di costruire una storia comune del mondo europeo e mediterraneo, ne ho seguito il percorso anche come inutile membro del Comitato Scientifico, e sarebbe stato lì a fare da riferimento per quel che avviene a Lampedusa, se non fosse stato depistato verso altri sentieri dal governo francese, per la gloria della Francia, non per il dialogo tra i popoli. Ricordo che all’inizio dell’estate del 2009 l’associazione Simbdea mandò una lettera di protesta al ministero francese della cultura, la cosa stupefacente fu che ricevemmo una risposta, ci scrisse l’allora ministro Mitterand, nipote dell’ex presidente socialista e membro del governo di destra, che ci tranquillizzò, ma la svolta ci fu e resta: di fatto il più grande museo francese sulla cultura popolare europea, creato da G. H. Riviére, è in scatola a Marsiglia. Si ricomincia sempre da capo, anche a Lampedusa. Gli si può dire che per una decina di anni studiosi seri hanno girato il Mediterraneo per tracciare percorsi di tecniche, di saperi, di materiali? Proprio nei luoghi che ora sono i centri delle guerre e che connettevano con le nostre storie medievali e moderne? Nessuno ti starebbe a sentire. Per il Museo della fiducia, si capisce la buona volontà, il disorientamento, assai meno si capisce l’investimento in quel che si crede un valore universale che onora l’accoglienza: pezzi da museo nel senso antico del termine. Queste istanze epocali, che cercano di fondarsi sulle vite negate, sono più nell’opera di Mimmo Paladino, la porta che accoglie simbolicamente i morti annegati in quel mare, “La porta che guarda l’Africa in ricordo di chi non è mai arrivato”. E sono anche nei progetti di raccolta di oggetti migranti della associazione Askavusa (la scalza) di Lampedusa, nelle foto di Matt Cardy agli oggetti abbandonati nei campi di permanenza dei profughi, in specie in Grecia.[34]
Da anni associamo il nostro lavoro di recupero della memoria con l’analisi politica e storica, con la prassi quotidiana, associando lo studio sulle migrazioni alle lotte sul territorio. Da tempo abbiamo rifiutato di far parte del grande apparato politico/mediatico e rifiutato finanziamenti da personaggi come Soros, che fanno parte di quella galassia dei sostenitori dei Diritti Umani e della democrazia che hanno smantellato le conquiste dei lavoratori e destabilizzato nazioni. Nella retorica tritacarne sono finiti anche gli stati nazione, ultime istituzioni politiche a potere arginare l’espansione totale del capitale neoliberista. La retorica del mondo senza muri e frontiere viene ripetuta come un mantra svuotato di senso e collocazione politico/storica. Così anche i più ben intenzionati ma sprovveduti si sono ritrovati invischiati nel discorso neoliberale e imperialista. Anche qui a Lampedusa la declinazione di un tale paradigma gioca un ruolo importante: “proteggere le persone non i confini” è uno degli slogan del Comitato 3 ottobre ed è quello che si legge davanti al muro prima di entrare sul molo Favaloro (il molo in cui i militari portano i migranti e da dove poi vengono trasferiti nell’Hot Spot con dei pulmini). Ma i confini sono un atto politico, come lo sono gli stati nazione. Non sono dati naturali e non implicano pratiche predefinite e immutabili: una loro critica e ridefinizione dal punto di vista dei subalterni può allora assumere un certo senso. L’idea di un loro abbattimento in un’ottica capitalista e globalista, occultata dal buonismo umanitarista, ne ha drasticamente un altro. Lampedusa insomma rimane uno dei centri di produzione del mito collettivo contemporaneo, un mito anche questo rovesciato. Un mito senza mito, popolato da “eroi normali”.
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note
[1] Sulla base delle testimonianze dei naufraghi e dei primi soccorritori e dei documenti di cui siamo riusciti ad entrare in possesso
[2] Un militare dell’esercito italiano di origine eritree arrivato sull’isola per stare vicino ai sopravvissuti nei giorni dopo il naufragio.
[3]http://palermo.repubblica.it/cronaca/2013/10/03/news/lampedusa_naufraga_barcone_dopo_incendio_82_vittime_fra_loro_donna_incinta_e_2_bambini_ma_mancano_all_appello_250_persone-67793321/.
[4] Ufficio stampa del Sindaco di Lampedusa e Linosa, 6 ottobre 2013.
[5] Testimonianza di Vito Fiorino, uno dei primi soccorritori.
[6] http://www.unita.it/immigrazione/strage-lampedusa-e-polemica-sui-soccorsi-br-la-gente-in-acqua-e-loro-pensavano-a-filmare-1.525488?page=4.
[7] Il ministro delle Difesa Pinotti – 1 ottobre 2014 – risposta all’interrogazione n4-01005.
[8] http://frontex.europa.eu/operations/archive-of-operations/XEzK5K.
[9] Cfr. (JRS Dispatches, Europa: controlli frontalieri e tutela dei diritti umani, http://it.jrs.net/newsletters_detail_L4?ITN=MC-20120730051529.
[10] (L. Eduati, in «L’Huffington Post» 11/10/2013, http://www.huffingtonpost.it/2013/10/11/lampedusa-eurosur_n_4084899.html.
[11] Ibidem.
[12] F. Gatti, La verità sul naufragio di Lampedusa. “Cosi l’Italia ci ha lasciato morire”, http://espresso.repubblica.it/inchieste/2013/11/07/news/la-verita-sul-naufragio-di-lampedusa-quella-strage-si-poteva-evitare-1.140363.
[13] Cfr. http://livesicilia.it/2013/10/14/naufragio-lampedusa-cadaveri-marina-militare-vittime-bimbi-di-6-mesi_386758/.
[14] Ufficio stampa del Sindaco di Lampedusa e Linosa, 28 ottobre 2013.
[15] Musica a Lampedusa. Sabir il festival delle polemiche, http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09/20/musica-a-lampedusa-sabir-il-festival-delle-polemiche/1127635/.
[16] Dal sito ufficiale del Comitato 3 ottobre, http://www.comitatotreottobre.it.
[17] Ibidem.
[18] Lettera indirizzata al Sindaco di Lampedusa e Linosa, Giusi Nicolini, Lampedusa 01/03/2014.
[19] http://lospiffero.com/ls_article.php?id=22316.
[20] M. Akkerman, Frontiera di guerra. Come i produttori di armamenti traggono profitto dalla tragedia dei rifugiati in Europa, 2016, in http://www.disarmo.org/rete/docs/5039.pdf.
[21] Ibidem.
[22] F. Spinelli, Viaggio tra le lobby che influenzano le politiche migratorie europee , in «Internazionale», 22 settembre 2016.
[23] http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/04/14/marina-militare-la-nave-umanitaria-si-trasforma-in-portaerei-ed-esplodono-i-costi-taciuti-al-parlamento/2634448/.
[24] (P. Ansart, Marx e la teoria dell’immaginario sociale, in E. Colombo (a cura di), L’immaginario capovolto, Eleuthera, Milano 1987, p. 82.
[25] http://www.dinamopress.it/inchieste/lo-spettacolo-del-confine.
[26] http://www.cinemafrica.org/spip.php?article1677.
[27] http://www.televisionando.it/articolo/lampedusa-la-fiction-con-claudio-amendola-20-e-21-settembre-su-rai-1/119359/-.
[28] http://palermo.repubblica.it/cronaca/2016/06/10/foto/richard_gere_a_lampedusa_pranza_con_i_giovani_migranti-141725926/1/#2.
[29] Ibidem.
[30] http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2016-07-08/immigrazione-grasso-a-lampedusa-l-europa-o-inizia-o-finisce-135134.shtml?refresh_ce=1.
[31] http://agrigento.gds.it/2016/07/23/migranti-gelli-pd-lhotspot-di-lampedusa-e-inadeguato_543228/. Qui di seguito un link con alcune foto sulle reali condizioni dell’Hot Spot di Lampedusa e un approfondimento sulla visita di Grasso a Lampedusa, https://askavusa.wordpress.com/2016/07/07/tutto-grasso-che-cola/.
[32] http://www.iltempo.it/adn-kronos/2016/02/25/cinema-boldrini-riceve-rosi-da-fuocoammare-prezioso-aiuto-a-migranti-1.1513029?localLinksEnabled=false.
[33] Comunicazione tradotta e diffusa dal Collettivo “Askavusa”.
[34] http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/i-musei-tra-nuove-missioni-e-vecchie-immagini-orhan-pamuk-claudio-magris-e-il-senso-comune/.