lunedì 23 marzo 2015

Rubiamo la speranza. Malaccoglienza nel trapanese.

La strada per arrivare al
Residence Marino.
“Mi ritrovo chiuso in questo posto in attesa di un documento che mi faccia trovare un lavoro, che mi dia la possibilità di mandare dei soldi a casa; mi ritrovo a stare intere giornate a pensare alla mia famiglia che ho deluso e che non vedo da più di un anno; perché devo aspettare tutto questo tempo? Perché in Italia siete così lenti a capire che abbiamo bisogno di libertà, lavoro e poi da mangiare e dormire ci pensiamo da noi? Ci lasciate tutto questo tempo qui chiusi come in una galera perché ci sfruttate e guadagnate tanti soldi e noi intanto moriamo lentamente, siete stati bravi a rubarci anche la speranza” David , Nigeria.

Questa è una delle tante lamentele/proteste che registriamo quando incontriamo i migranti fuori o dentro i centri. Questo è un punto su cui moltissimi puntano il dito: la lentezza burocratica che fa spazientire e fa protestare tanti e che ruba la speranza alla maggioranza delle persone che noi “rinchiudiamo” dentro posti che mettono a dura prova anche i più forti.
La strada per arrivare al
Residence Marino.

Purtroppo continuiamo a ricevere telefonate di protesta da più parti, da Palermo a Trapani, da Catania ad Agrigento, fino a Ragusa, sempre con le stesse richieste di aiuto. “NON C’E’ NESSUNO CHE CI ASCOLTA”. Possiamo effettivamente attestare che il problema principale nei casi di “buona volontà” è l’ascolto, la voglia di operatori, mediatori e responsabili di sedersi accanto ad un “ospite” e ascoltarlo. Tutto questo avviene forse nei primi giorni di apertura di un centro ma dopo un mese la musica cambia, ma non cambiano le richieste dei ragazzi nigeriani, gambiani, pakistani o maliani che siano, e “l’ente gestore” si spazientisce, s’innervosisce, si ammutolisce e in alcuni casi non si presenta più al centro per diverso tempo, per svariati motivi.  In primis perché probabilmente non ha nulla da comunicare visti i tempi biblici delle Commissioni Territoriali, secondo perché in molti casi la preparazione degli operatori è inadeguata, e infine perché in alcuni casi c’è un razzismo di fondo che non consente un dialogo.
La non accoglienza in Italia è affidata alle cooperative riciclate (prima erogavano servizi) o convertite (prima gestivano centri anziani) e ancora comunità alloggio per minori autoctoni che adesso ricevono soltanto minori stranieri non accompagnati, ma come spesso abbiamo scritto, agriturismi o hotel che da un giorno all’altro si sono “sentiti” chiamati verso l’accoglienza.
E’ questo il caso emblematico per esempio, dell’hotel Acos di Marsala, in cui la struttura è gestita dalla cooperativa Vivere Con,  che da anni porta avanti questa accoglienza a singhiozzo tra hotel e CAS. La cooperativa già nel 2009 ha accolto migranti per poi riprendere l’attività turistica. Suppongo a seconda del flusso turistico o del flusso di migranti, oppure ancora per accordi con la proprietà della struttura; non abbiamo potuto appurare per mancanza di risposte da parte dell’ente gestore. L’ultimo turista che scrive dell’hotel Acos in questa ultima tornata risale a maggio scorso (è sufficiente fare una ricerca su Google per leggere i pareri dei turisti sull’hotel come per tutte le strutture turistiche), e a partire dal 1 giugno 2014, la struttura viene riconvertita in CAS dalla cooperativa Vivere Con. Da quel momento i dipendenti che fino al 31 maggio si occupavano di interagire con turisti, si sono visti catapultati in un mondo sconosciuto e molto diverso, come ci racconta Pietro, operatore della struttura. Dall’ormai lontano 1 giugno 2014 tanti migranti sono passati dall’hotel Acos e dall’hotel Concorde (sempre gestito dalla stessa cooperativa e sempre a Marsala), e attualmente ci sono circa 130 persone in uno stato di abbandono, o meglio questa è la sensazione che vivono e che li ha spinti a contattarci. Moltissimi sono privi di documenti (la quasi totalità) e dopo 10-11 mesi quasi nessuno ha ancora una data per l’audizione in commissione. Ma ancor più drammatica è la situazione di un alto numero di persone che non ha ancora formalizzato la richiesta d’asilo compilando il modulo C3 dopo 4-5 mesi. Questo ritardo è gravissimo e i motivi sono da ricercare nelle difficoltà della Questura di Marsala (e non solo) di reperire i fondi per i mediatori culturali a seguito dei  tagli. Ma alla fine sono i richiedenti asilo a pagare la scarsa capacità di programmare dei nostri politici e governanti, senza considerare l’enorme dispendio di risorse pubbliche nel tenere centinaia di persone parcheggiate in un limbo giuridico ed esistenziale.
Ovviamente la situazione è pesante per via di questi ostacoli burocratici, e a questo enorme problema per cui i ragazzi che si sentono in gabbia per via dell’inutilità con cui sono costretti a vivere questo tempo, si aggiunge il fatto che c’è un direttore che non è presente da tempo. I migranti che abbiamo incontrato ci parlano di almeno tre mesi, circostanza smentita dalla mediatrice presente che non ha voluto darci altre informazioni. Quindi i migranti si sentono abbandonati e pensano che i ritardi siano causati dall’ente gestore. Inoltre abbiamo incontrato almeno una decina di ragazzini piccoli che ci hanno detto di essere minori e che non hanno mai incontrato un avvocato e sostengono che mai nessuno gli ha detto di avere questo diritto.
Altra grave situazione che vivono i minori l’abbiamo riscontrata a Trapani nella struttura “Residence Marino”. In passato era un Ipab che ospitava anziani in un piccolo angolo di paradiso, mentre oggi si è trasformato per i minori e per gli adulti richiedenti asilo in una galera a cielo aperto.
La struttura, che ospita al piano superiore circa 18 minori non accompagnati in due comunità alloggio gestite dalla coop. sociale Dimensione Uomo 2000, è stata aperta a febbraio 2014. Al piano inferiore ci sono invece circa 100 migranti gestiti proprio dall’Ipab che si è convertito alla “migrazione” a giugno del 2014 (quindi 3-4 mesi dopo la presenza delle comunità alloggio che pagano un canone d’affitto all’Ipab per usufruire degli spazi).
In questa struttura veramente grande, ci sono quindi minori e adulti, con problemi per gli enti che gestiscono le diverse strutture presenti e con problemi di promiscuità tra piano di sopra e piano di sotto. Gli enti gestori dell’Ipab ci parlano soprattutto di difficoltà gestionali per la presenza spesso di  migranti provenienti da altri centri che si imboscano vista la grandezza della struttura.
Ma la situazione più grave a nostro avviso (confermata dagli enti gestori), è l’ubicazione della struttura, cioè in un posto lontano dal centro abitato, non collegato con i mezzi pubblici, che anche volendo, non possono arrivare vicino al centro perché la strada dal molo Ronciglio alla struttura è dissestata. Passandoci le macchine facilmente si rompono (ci vorrebbero delle 4x4), si tratta di una strada completamente impraticabile, non illuminata e piena di cani randagi e con le piogge invernali la situazione si è aggravata notevolmente rendendo la zona un fiume in piena.
Per portare un esempio i ragazzi delle comunità alloggio non possono andare a scuola perché il pulmino utilizzato per il tragitto si è più volte rotto e adesso è in attesa di essere per l’ennesima volta riparato.
I minori  non solo si sentono in gabbia, ma nessuno tra Capitaneria, Comune, Prefettura e Ipab riesce a pensare un intervento per migliorare la viabilità e dare l’opportunità ai ragazzi di muoversi liberamente (c’è un contenzioso in atto dal lontano 2002).
Tutto questo ha portato a continue proteste da parte degli ospiti adulti dell’Ipab, ma anche dei minori ospiti delle comunità alloggio.
Purtroppo le proteste sono tante non solo nel trapanese, ma anche e soprattutto nel palermitano dove a manifestare non sono solo i migranti presenti nei Cas, ma anche negli Sprar (gestiti entrambi dallo stesso consorzio Sol.co). L’ultima protesta purtroppo è degenerata e 4 nigeriani presenti nella struttura di Borgetto – Cas Vogliamo Volare – sono stati arrestati. Da premettere che in questa struttura non era la prima volta che i migranti presenti protestavano sia per le lungaggini burocratiche che per le condizioni della struttura e per l’atteggiamento degli operatori. In particolare i ragazzi presenti più volte hanno lamentato il disinteresse da parte degli operatori per le loro condizioni di salute, e denunciato il mancato accompagnamento presso le strutture sanitarie per le visite già prenotate. Abbiamo verificato che alcuni ambulatori dell’Asp di Palermo hanno richiamato l’ente gestore per le mancate visite dei ragazzi. 
Ovviamente tutte queste condizioni di stasi e di insoddisfazione creano il vuoto dentro e agevolano azioni violente come avvenuto proprio a Borgetto. 
Ma ci chiediamo quante colpe abbiamo noi verso queste persone a cui continuiamo a rubare la speranza?

Alberto Biondo
Borderline Sicilia Onlus