E’ il 31 ottobre e l’attenzione dei media a livello
internazionale e locale è focalizzata sull’inizio dell’operazione Triton e la
sua relazione con Mare Nostrum. La poca chiarezza rischia di fomentare
dibattiti sterili e distogliere l’attenzione dalle questioni cruciali che questeoperazioni sottendono.
Intanto i migranti continuano a morire in mare.
Risale a tre giorni fa il naufragio a 20 miglia dalle costelibiche di un barcone con a bordo 120 persone, una situazione ricostruita
grazie alle testimonianze dei primi soccorritori e dei superstiti. E dove non
arrivano le parole, rimangono i segni portati sui corpi di chi è scampato alla
tragedia. Un gommone in avaria, profughi in mare che usavano le camere d’aria
presenti sulla barca come salvagenti, e tra i superstiti alcuni ustionati per
aver inalato gasolio.
Dopo i primi interventi di soccorso, la nave Fiorillo della
guardia Costiera porta i profughi sopravvissuti al porto di Pozzallo insieme ad
altri migranti trasbordati da 2 diverse imbarcazioni. In tutto sono 276, di cui
15 donne e 6 minori, i migranti giunti nella primissima mattinata nella città
iblea, dove ad attenderli ci sono già le forze di polizia, l’esercito, gli
operatori del progetto Praesidium, i medici dell’ASP e di MSF, con i volontari
di CRI e Protezione Civile e diversi giornalisti. Sulla nave attraccata in
banchina vediamo muoversi le tute bianche e i teli in cui sono avvolti i
migranti salvati in mare, che con estrema fatica iniziano la lenta discesa.
Donne somale sorrette da volontari, che raggiungono scalze le barelle disposte
sotto i tendoni dei soccorsi, ragazzi eritrei che si accasciano a terra sfiniti
nell’attesa del bus su cui salire, ragazzi nigeriani, senegalesi, gambiani, che
rimangono immobili e silenziosi una volta toccato terra. Gesti lenti, silenziosi, che contrastano con
la rapidità e i richiami solleciti tra le diverse postazioni degli operatori, i
quali dinanzi a tanta ingiustificabile sofferenza si attivano ancora più
celermente, incrociando rapidamente gli sguardi dei nuovi arrivati, davvero
difficili da sostenere.
Iniziano le procedure di prima identificazione, con le foto
e il trasferimento dei primi arrivati nel CSPA di Pozzallo. Per alcuni migranti
domani è previsto un trasferimento al centro di Comiso, per tutti lunghe ore di
riposo ma anche indagini ed interrogatori da parte della polizia investigativa
che è già in azione. Oggi quasi tutti i presenti sono ammutoliti, attoniti,
rimandando alle ore successive anche gli impellenti interrogativi sulle future
operazioni in mare.
Intanto altri 153 migranti vengono sbarcati la mattina del 1°
novembre al porto di Augusta dalla nave Borsini: sono principalmente Siriani e
Palestinesi trasferiti dopo i primi soccorsi al centro “Le Zagare”di Melilli,
mentre in 59 giungono la sera nuovamente al porto di Pozzallo.
“In quanti riusciranno ancora a sbarcare? Come faranno ad
avvicinarsi senza le imbarcazioni della marina Militare? Perchè una cosa è
evidente a tutti, chi fugge sapendo di morire non si ferma davanti a nulla. E
un piano di fuga che a volte richiede anni non può essere cambiato nel corso di
pochi giorni ” mi dice un operatore, riassumendo i pensieri di tanti presenti.
Arrivano devastati dal dolore, provati dalla lotta con la morte, testimoniando
un invincibile voglia di raggiungere una vita migliore. E inchiodandoci
semplicemente con i loro sguardi, diretti e determinati, ci implorano di non
paralizzarci o fuggire, ma agire in modo ancora più deciso.
Lucia Borghi
Borderline Sicilia Onlus