venerdì 24 ottobre 2014

Augusta, sbarco in grande stile di 500 migranti al porto

“We’re Sirians, you know how we feel”. Legge negli occhi la mia domanda H., la prevede, e la distrugge con un sorriso. Restiamo per un po’ a guardarci di fronte all’ingresso della tendopoli permanente del porto di Augusta, dove, intorno alle dieci del mattino di ieri, la nave Spica della Marina militare ha attraccato con a bordo 507 migranti, di cui 60 minori stranieri non accompagnati. Le nazionalità di provenienza, come spesso accade, sono un misto tra siriani, gambiani, nigeriani, somali e guineani, poiché il salvataggio, operato in un primo momento dalla nave San Giorgio, è il risultato di tre diversi interventi in mare aperto.

Il comandante della nave Spica, Francesco Maiorana, ci spiega che il trasbordo dei migranti dalla nave San Giorgio, dove si è proceduto con una preliminare identificazione degli stranieri da parte delle forze di polizia presenti a bordo ed un primo controllo sanitario, sarebbe avvenuto a poche miglia a sud di Lampedusa. Non sa darci ulteriori informazioni sulla posizione esatta della nave al momento del soccorso, ma sottolinea che le condizioni fisiche dei passeggeri non presentavano particolari gravità, se non disidratazione, stanchezza e pochi casi di scabbia.
Il disbrigo delle procedure di sbarco avviene in poco più di un’ora, sotto gli sguardi guardinghi o annoiati dei vertici delle forze dell’ordine, dei prefetti, dei rappresentanti delle varie istituzioni presenti al porto in via eccezionale, data la visita di una delegazione del Parlamento europeo: le divise tirate a lucido, almeno quattro cooperanti per ogni organizzazione internazionale coinvolta nell’operazione Praesidium: Save the Children, OIM e Unhcr, e poi ci sono i medici della Croce Rossa e gli operatori della Protezione Civile di Augusta che, sempre presenti, si sbracciano per distribuire ciabatte e bottigliette d’acqua.
Scendono prima le donne e i bambini, pian piano vengono raggruppati sulla banchina e condotti nel grande tendone posto a circa duecento metri dalla nave. I medici di Msf eseguono i controlli sanitari in una tenda a parte, mentre due pullman sono già pronti per prendere a bordo gran parte dei nuovi arrivati. Nemmeno il tempo di mangiare, le provviste vengono caricate nel baule e i primi due bus, uno colmo di siriani e uno di cittadini subsahariani, si avviano verso l’uscita del porto. Sembra siano destinati all’aeroporto di Catania, dal quale verranno poi trasferiti chi a Roma e chi a Cagliari.
Il tendone è però ancora pieno a metà, vengono distribuiti panini, mele e acqua. Riusciamo a raccogliere alcune storie. L. viene dalla Nigeria, ha lasciato il suo Paese due mesi fa ed ha attraversato il Sahara per imbarcarsi dalla Libia. Siede insieme ai compagni di viaggio, chiediamo ad un ragazzo del Mali quali siano i suoi programmi. “Per ora resterò un po’ in Sicilia e poi si vedrà, sono così contento di essere vivo”, ci confida sorridente. Poco più in là siede un gruppo di ragazzi curdo siriani che ci fermano pronunciando qualche parola in italiano “siamo in viaggio da molti, troppi mesi. Dalla Siria siamo passati ad Istanbul ma lì non era possibile rimanere. Non avevamo nessuna possibilità di sopravvivere in modo legale, quindi abbiamo dovuto inevitabilmente partire per l’Algeria, poi Tunisia e quindi la Libia”. M. , originario del Gambia, non riesce invece nemmeno a nominarla, la Libia.”sono fuggito dal Gambia più di un anno fa, scampando ad un’improvvisa  retata della polizia mentre stavo giocando a calcio con la mia squadra, io sono un calciatore sai? Da casa seguivo tutte le partite italiane. Dal Gambia giungere in Libia ha richiesto diversi mesi di viaggio, e una volta arrivato ho passato due mesi nascosto. Lavoravo clandestinamente, alcuni uomini venivano a prendermi la mattina per portarmi nei cantieri e mi riportavano la sera nel mio rifugio. Poi finalmente la lenta partenza. Molto molto lenta. Per giorni la nostra nave ha stentato a prendere il largo nell’attesa di riempire il carico e cercando di evitare i ricatti di altri trafficanti”
Avanzano invece intraprendenti verso di noi tre ragazzi somali, giovanissimi, che ci chiedono informazioni su come poter raggiungere la Germania. “abbiamo amici e parenti lì, lo abbiamo già detto alla polizia, pensi ci faranno lasciare l’Italia?” una domanda che rimane sospesa poiché a poco a poco tutti vengono trasferiti nella tenda accanto, mentre i MSNA vengono divisi dal gruppo. Solo dopo diverse ore riusciamo a scoprire che verranno trasferiti a Catenanuova e Caltagirone, presso la Villa Montevago, come riportato anche dal quotidiano Sette e Mezzo Magazine, centro che solo un paio di mesi prima aveva chiuso i battenti e i cui ospiti erano stati trasferiti tra i centri di Ispica e Portopalo http://siciliamigranti.blogspot.it/2014/08/portopalo-cas-per-minori-al-collasso-il.html. Una sistemazione quindi da monitorare con grande attenzione, decisa in concomitanza con lo svuotamento delle ex scuole Verdi di Augusta, avvenuto ieri, dove finora alloggiavano la maggior parte dei minori sbarcati al porto cittadino ora inviati alle strutture di Priolo e Melilli.
Continui trasferimenti e spostamenti sempre più frequenti verso città al di fuori della Sicilia, come è capitato agli ultimi migranti sbarcati una settimana fa a Pozzallo ed Augusta e diretti a Cagliari, o ad altre città come Messina, presso la caserma di Bisconte, dove viene inviato l’ultimo gruppo di profughi in attesa nell’accampamento. Speranze e progetti diversi, che hanno spinto uomini,donne, ragazzi e ragazze a rischiare la vita in mare con i loro bambini, in traversate e trasbordi di cui si sa spesso troppo poco. Migranti che per poter decidere del proprio futuro, dovranno continuare anche una volta sbarcati a lottare con determinazione per far sentire la propria voce.

Beatrice Gornati e Lucia Borghi
Borderline Sicilia Onlus