Se vogliamo farci un’idea precisa
di come il Governo regola il fenomeno dell’immigrazione è sufficiente fare un
giro per la provincia di Trapani.
Come spesso abbiamo detto e
denunciato, Trapani è il laboratorio sperimentale per verificare come
reagiscono i migranti (dai tempi del Serraino Vulpitta) e la gente che vive
questo fenomeno in prima persona.
Oltre al CIE (Milo) e al CARA
(Salinagrande), possiamo trovare palestre e tendopoli, caseggiati abbandonati
nelle campagne che diventano luogo di dimora per centinaia di migranti
sfruttati.
Al CIE di Milo continuano le
fughe con cadenza quasi giornaliera. Frequenti le rivolte e le proteste dovute
alla condizione di assistenza davvero carente dopo la revoca da parte della
prefettura dell'appalto di gestione del centro originariamente assegnato al
consorzio Oasi.
Al CARA di Salinagrande la
situazione è in un precario equilibrio tra gli ospiti presenti, le forze
dell’ordine e gli operatori che non sono messi in condizioni di lavorare, visto
che la prefettura continua a riempire un centro che dovrebbe ospitare soltanto
260 migranti (ne contiene più di 400).
Inoltre la società di trasporti urbani
della città trapanese che consentiva ai migranti ospiti del centro di usufruire
dell’unico autobus che raggiungeva il centro di accoglienza non è più in grado
di garantire il servizio perché “i migranti non pagano il biglietto” con conseguente
taglio della linea. La prefettura non si è mai impegnata a garantire il
servizio.
In questa situazione di disagio
psicologico e costrizione è facile perdere la pazienza per futili motivi, e così
le liti tra i migranti presenti nel CARA si sono moltiplicate negli ultimi
mesi.
Questa situazione è figlia
dell’incuria e dell’incapacità di studiare un piano immigrazione, e quindi, come
per il 2011, siamo in EMERGENZA SBARCHI!!
E, si sa, quando siamo in
emergenza il governo può agire più facilmente, approvando l’operazione Mare Nostrum e il nuovo piano di
intervento di accoglienza.
Cosa prevede? Ricordate il 2011?
Il piano prevede il riempimento
di tutti i centri (fino all’esaurimento) esistenti e la nascita di nuovi che
sono, ormai anche questi, tutti strapieni. E la prefettura di Trapani, come la
Protezione civile nel 2011,
ha indetto un bando per i nuovi centri per l’accoglienza
a 30 euro per ciascun migrante.
Un giro di affari in cui molti, come
allora, si sono buttati a capofitto nella speranza di fare un po’ di “soldi”;
così tanti alberghi si sono convertiti in centri di accoglienza, così come le strutture
abbandonate che i vari consorzi hanno affittato per adibire in centri per
immigrati.
Chi sbarca in Sicilia viene
smistato in un Cara, in un Cie o in una palestra o, ancora, in uno di questi
nuovi centri.
E chi non arriva in Italia da
Lampedusa? Altro problema, perché per chi arriva in Italia per via “terrestre”
e si presenta direttamente alle questure chiedendo asilo, (perché non hanno la
possibilità di continuare il proprio progetto migratorio per questione
economiche o per altri problemi) essendo i centri strapieni, non ci sono posti e
sono costretti a vivere in caseggiati abbandonati a ridosso dei centri o in
tendopoli nelle campagne siciliane.
Attualmente, dopo Alcamo e
Marsala (per restare nella provincia trapanese), le tendopoli sono fiorite come
ogni anno a Campobello di Mazara (fenomeno che si ripete da almeno 5 anni),
dove sta per terminare la raccolta delle olive, e dove più di 600 migranti si
sono trasferiti nella speranza di guadagnare, nella speranza di avere una
possibilità, nella speranza di realizzare un sogno. Ma quanto costa?
Tanto, visto che il mese scorsoun ragazzo senegalese ha anche perso la vita per le ustioni riportate a seguito
dell’esplosione del fornello da campo.
In questi giorni moltissimi
partiranno a fine raccolta e si sposteranno a Catania per la raccolta delle
arance, dove si formeranno altre tendopoli, e dove si continuerà nello
struttamento, dove i caporali continueranno ad
umiliare i malcapitati di turno,
dove i proprietari terrieri approfitteranno della cecità dei nostri politici e
dall’incuria delle istituzioni.
Ma probabilemente a molti di noi
conviene non vedere e non sentire le urla di dolore per continuare a pagare
meno al supermercato l’olio “nostrano” o, ancora, le aranciate siciliane, l’uva
di Marsala e di Alcamo, le patate di Cassibile o i pomodori di Pachino. Forse
le istituaizioni non intervengono per mantenere un economia ormai allo sbando
che si regge soltanto sulla forza lavoro migrante?
Ai posteri l’ardua sentenza, ma
per alcuni di noi è utile capire da dove vengono certi prodotti che costano
poco e cominciare a fare scelte etiche, fare consumo/economia critica e
solidale.
Alberto Biondo
Borderline Sicilia Onlus