Ci occupiamo da anni di stranieri
sul nostro territorio, ed abbiamo avuto pertanto il privilegio di farci
raccontare la nostra città da occhi stranieri. E l’immagine della città, negli
ultimi 10 anni, si è trasformata. Abbiamo iniziato il nostro percorso in una
città indifferente che si vergognava di esserlo, ed allora appena sollecitata
reagiva, volente o nolente, perché l’essere indifferenti era considerato un
difetto, qualcosa di cui vergognarsi. Pian piano la soglia della vergogna si è
alzata, e ci si è vergognati sempre un po’ meno del degrado culturale nel quale
si stava, tutti quanti, sprofondando.
Da tempo, troppo ormai,
Caltanissetta ha le favelas. Luoghi, tanti, in cui le persone vivono senza
nulla. E ci siamo stancati di ripeterlo. E Caltanissetta si è ampiamente
adagiata su una posizione che non le appartiene: quella di metropoli da milioni
di abitanti con le favelas. Il problema è che Caltanissetta è altro: è una
cittadina, nemmeno bella né ridente, dell’entroterra siciliano, che sopravvive
(ironia della sorte, proprio grazie agli stranieri) sulla soglia, fatidica, dei
60.000 abitanti. Ma con le favelas.
Nelle favelas noi, e non solo
noi, ci siamo andati, a vedere i mostri. Quello che abbiamo trovato non importa
raccontarlo a chi non vuole vedere né sentire. Ma una cosa va detta: abbiamo
visto malati abbandonati a sé stessi, storie di ambulanze chiamate e mai
arrivate, richieste di aiuto ai medici di pian del lago rimaste inascoltate.
Storie di ragazzini idioti che tirano le arance addosso agli stranieri quando
li incrociano per strada. Finchè sabato mattina si è compiuto l’assurdo: a
visitare quelle persone è arrivata la troupe di medici senza frontiere.
Associazione che opera nei paesi in guerra, nei campi profughi. E a
Caltanissetta. Che non è in guerra, non ha, checché se ne voglia dire, campi
profughi, si trova nel centro di un’isola al centro del mediterraneo di uno dei
paesi più ricchi del mondo.
E che ha sancito, una volta per
tutte, che anche la tutela della salute guarda al colore della pelle, e dei
documenti.
Se sei bianco chiami l’ambulanza,
se no speri di non morire in attesa che medici senza frontiere venga a vedere
cosa hai.
E nessuno si permetta di
blaterare di crisi.
La crisi c’è, sicuramente, ed è devastante.
Ma non è economica. E’ culturale. E morale.
E poco importa se per soddisfare
il proprio bisogno di sentirsi parte di una comunità i nisseni vadano a messa
la domenica o partecipino alle primarie del partito di appartenenza per
eleggerne il segretario: la loro coscienza rimane più sporca di una cloaca.
Sportello per Immigrati.
Caltanissetta. Con vergogna.