martedì 8 ottobre 2013

L'on. Chaouki del PD:«Gli orrori che ho visto nel Cie di Lampedusa»

L'Unità - «Racconteremo e non saremo creduti», così scrisse Primo Levi, testimone e vittima delle atrocità naziste, per significare l’enormità del male che aveva colpito il suo popolo; ebbene noi, davanti alla tragedia che si consuma nel nostro Mediterraneo, diventato il più grande cimitero a cielo aperto, di fronte ai racconti di questo orrore e a quello che ho potuto vedere con i miei occhi a Lampedusa, insieme ai miei colleghi parlamentari e alla presidente della Camera Laura Boldrini, non posso stare in silenzio. Il Centro di accoglienza di Lampedusa è in condizioni disumane.


E tutti oggi devono sapere il livello di degrado e inciviltà a cui siamo arrivati come Italia e come Europa. Tutti. Appena entrato nel Centro di accoglienza di Lampedusa non credevo ai miei occhi quando Mustafa, signore siriano sulla cinquantina mi ha preso per mano e mi ha trascinato sotto un albero davanti a una brandina: «Vedi, questa è mia figlia ed è incinta al quinto mese. Abbiamo attraversato il mare, siamo scappati da Assad. Non vorrei perdesse suo figlio proprio qui a Lampedusa».

A Lampedusa si dorme per terra, su materassini di gomma sistemati tra cespugli, panchine e immondizia. Mentre cammino tra gruppi di famiglie sistemate per terra, mi fermo da un gruppo di bambini, questa volta palestinesi e anche loro fuggiti dalle bombe del regime siriano. Mi abbasso in ginocchio, mi presento in arabo e chiedo a loro dove dormono. Senza parlare uno di loro mi indica un camioncino scassato, credo una cella frigo per gelati abbandonata dentro il Centro.

Non ci credo, non ci voglio credere. La mia guida siriana improvvisata insieme ad altri ragazzi, per lo più ventenni, corrono verso il camioncino, aprono le portiere laterali. Sono pieni di materassini di gomma. «Qui dormono alcune famiglie. Almeno sono al riparo dalla pioggia» aggiunge un altro. Non faccio in tempo a riprendermi dall’angoscia che una giovane donna, Iman, occhi verdi bellissimi, chiede di parlarmi, solo. Con pudore e scusandosi per il disturbo, mi confessa a bassa voce le sue paure: «Non voglio che ci portino in Sicilia. I nostri amici che sono già lì nel centro ci hanno al telefono che li hanno picchiati. Ho tanta paura e da qui non mi sposto finché non mi assicuri che non ci picchieranno».

Mi cade il mondo addosso. Sono scappati dalla violenza, hanno viaggiato per giorni e settimane sognando un rifugio sicuro. E qui da noi questa signora teme la violenza nei nostri centri. Rimango interdetto, cerco di tranquillizzarla con la promessa di indagare sulle condizioni dei centri siciliani. Lei non molla e con gli occhi lucidi mi chiede il numero di cellulare: «Almeno se mi succede qualcosa so con chi posso parlare». È terrorizzata.

                                    Guarda le foto del CSPA di Lampedusa scattate dall'On. Chaouki