Quando anche il diritto rimane fuori dai cancelli
Approfondimento di Fulvio Vassallo Paleologo della situazione al C.A.R.A. di Caltanissetta, LasciateCIEntrare, 27 aprile 2012
1) La visita al centro polifunzionale (CIE/CDA/CARA) di Pian del Lago a Caltanissetta
1) La visita al centro polifunzionale (CIE/CDA/CARA) di Pian del Lago a Caltanissetta
Il centro polifunzionale per gli immigrati di Pian del Lago, a Caltanissetta,
comprende al suo interno un centro di identificazione ed espulsione (CIE), riaperto
nel mese di marzo del 2012, un Centro di accoglienza (CDA), ed un Centro di accoglienza per richiedenti asilo
(CARA)[1].
Vale in pieno per il centro polifunzionale di Caltanissetta la
preoccupazione segnalata nella ricerca “Il diritto alla protezione” coordinata
dall’Asgi e pubblicata nel febbraio del 2012, “La parziale sovrapposizione tra C.D.A e
C.A.R.A, in termini di capienza posti, non consente di conoscere con chiarezza
quanti siano i posti riservati all’accoglienza dei richiedenti asilo, e, cosa
ancora più rilevante, quanti siano i richiedenti asilo che hanno trovato
effettiva accoglienza nei centri.
Se infatti ai C.D.A vengono condotti gli stranieri in attesa dell’identificazione e della adozione dei relativi provvedimenti amministrativi, non risulta possibile, almeno alla luce dei dati forniti, sapere quanti siano coloro che hanno in effetti presentato istanza di asilo ed hanno usufruito della relativa accoglienza ai sensi del D.Lgs 140/05 e quanti invece siano stati gli stranieri destinatari di provvedimenti di allontanamento, ovvero che si siano resi irreperibili prima dell’adozione di un qualsivoglia provvedimento. Viene pertanto in rilievo una ulteriore e assai rilevante problematica: a meno di non volereconsiderare, in termini di capacità di sistema di accoglienza per i richiedenti asilo i soli posti disponibili nelle strutture individuate quali solo C.A.R.A (ipotesi che non terrebbe conto della ben diversa realtà fattuale), allo stato dei dati disponibili, il sistema delle “scatole cinesi” tra C.D.A. e C.A.R.A. impedisce di conoscere con chiarezza quale sia l’effettiva capacità di accoglienza del sistema dei C.A.R.A”, che si può stimare solo con molta approssimazione attorno ai 4.000 posti in tutta Italia [2] .”In conseguenza di ciò non risulta neppure possibile operare analisi più complesse quali una valutazione sull’efficacia tra il sistema di accoglienza incardinato sui C.A.R.A. e il sistema S.P.R.A.R., sulla congruità dei costi sostenuti, sull’efficienza degli interventi realizzati”. Alla confusione contabile si aggiunge anche una enorme incertezza sullo status giuridico delle persone che sono in accoglienza, magari all’interno delle medesime strutture, ma con diversi documenti e dunque con una diversa libertà di circolazione. Per tutti i tempi di attesa si allungano ben oltre quanto previsto dalla legge. Incertezza che si riproduce anche al momento dell’uscita dal CIE/CDA/CARA di Caltanissetta anche nel caso in cui la persona abbia ottenuto lo status di protezione internazionale o la protezione umanitaria.
Se infatti ai C.D.A vengono condotti gli stranieri in attesa dell’identificazione e della adozione dei relativi provvedimenti amministrativi, non risulta possibile, almeno alla luce dei dati forniti, sapere quanti siano coloro che hanno in effetti presentato istanza di asilo ed hanno usufruito della relativa accoglienza ai sensi del D.Lgs 140/05 e quanti invece siano stati gli stranieri destinatari di provvedimenti di allontanamento, ovvero che si siano resi irreperibili prima dell’adozione di un qualsivoglia provvedimento. Viene pertanto in rilievo una ulteriore e assai rilevante problematica: a meno di non volereconsiderare, in termini di capacità di sistema di accoglienza per i richiedenti asilo i soli posti disponibili nelle strutture individuate quali solo C.A.R.A (ipotesi che non terrebbe conto della ben diversa realtà fattuale), allo stato dei dati disponibili, il sistema delle “scatole cinesi” tra C.D.A. e C.A.R.A. impedisce di conoscere con chiarezza quale sia l’effettiva capacità di accoglienza del sistema dei C.A.R.A”, che si può stimare solo con molta approssimazione attorno ai 4.000 posti in tutta Italia [2] .”In conseguenza di ciò non risulta neppure possibile operare analisi più complesse quali una valutazione sull’efficacia tra il sistema di accoglienza incardinato sui C.A.R.A. e il sistema S.P.R.A.R., sulla congruità dei costi sostenuti, sull’efficienza degli interventi realizzati”. Alla confusione contabile si aggiunge anche una enorme incertezza sullo status giuridico delle persone che sono in accoglienza, magari all’interno delle medesime strutture, ma con diversi documenti e dunque con una diversa libertà di circolazione. Per tutti i tempi di attesa si allungano ben oltre quanto previsto dalla legge. Incertezza che si riproduce anche al momento dell’uscita dal CIE/CDA/CARA di Caltanissetta anche nel caso in cui la persona abbia ottenuto lo status di protezione internazionale o la protezione umanitaria.
La successiva accoglienza in
circuiti protetti, ovvero nel Sistema di protezione per richiedenti asilo e
rifugiati (Sprar), è garantita soltanto ai soggetti vulnerabili: vittime di
tortura, donne incinte, famiglie, ragazze madri. Per gli altri richiedenti
protezione internazionale o già titolari di uno status legale, di
rifugiati, o di una protezione
sussidiaria, o di una protezione umanitaria, semplicemente non c’è posto.
Malgrado l’aumento registrato nel 2011, circa mille posti aggiuntivi, lo Sprar
in Italia conta soltanto 4.000 posti letto, di cui 450 per soggetti
vulnerabili. Il fabbisogno è almeno tre volte tanto, visto che solo nel 2011 le
richieste d’asilo sono state oltre 36.000, con un tasso di accoglimento che
viaggia attorno al 45 per cento. Sembra intanto in grave difficoltà il sistema
di accoglienza parallelo per richiedenti asilo, messo in opera nel 2011 con
fondi della protezione civile. Molte strutture sono ormai prive di risorse,
altre sono state chiuse per gravi inadempienze e migliaia di richiedenti asilo
dopo avere ricevuto un diniego da parte della competente commissione
territoriale si trovano allo sbando, senza informazioni, senza orientamento
legale, senza alcuna possibilità di ripresentare un’altra istanza di asilo
sulla base di fatti nuovi, come la legge prevede ( d.lgs. 25 del 2008) o di
fare ricorso nei ristretti termini accordati dalla stessa normativa (trenta
giorni).
Durante la visita nel centro polifunzionale di Caltanissetta, effettuata il
27 aprile 2012 da una delegazione di LasciateCientrare, composta da Fulvio
Vassallo Paleologo (ASGI) da Judith Gleitze (Borderline Sicilia) e da Giuliana
Geraci (ASGI e Sportello migranti di Caltanissetta), vi si trovavano circa 440
persone in procedura di asilo o in attesa di formalizzare la domanda ed un
numero imprecisato di detenuti trattenuti nel CIE, che ha una capienza massima di 100 persone
circa, tra cui una ventina di richiedenti asilo che dovrebbero essere sentiti
al più presto dalla Commissione territoriale di Siracusa, con la procedura
accelerata, che si recherà a Caltanissetta al fine di stabilire chi di loro
avrà diritto al riconoscimento di uno status di soggiorno, o continuerà ad
essere trattenuto in vista dell’espulsione. Dal decreto 159 del 2008, fortemente
voluto dal ministro Maroni, infatti, la proposizione di un ricorso contro il
diniego della richiesta di asilo, per il quale sono comunque previsti termini
assai stretti, non ha effetto sospensivo della misura del trattenimento
amministrativo. E dopo la legge n.129 del 2011 nei CIE si potrebbe restare, ma
solo in presenza di determinate circostanze e con una motivazione congrua, fino
a 18 mesi.
Nel centro “polifunzionale” di Caltanissetta lavorano oltre cento operatori
sociali, diversi medici, due avvocati, psicologi, e numerosi mediatori
culturali. Sono assunti dalla Cooperativa sociale Albatros 1973, che dal 2002
gestisce in appalto i servizi del centro. Un appalto che vale diversi milioni
di euro all’anno, che adesso, come altri rapporti analoghi negli altri centri
italiani, sarà rivisto con nuove gare
d’asta al massimo ribasso, allo scopo dichiarato di risparmiare, ma con il
rischio concreto che i servizi fin qui erogati agli immigrati siano
drasticamente ridimensionati. Del resto, in assenza di controlli effettivi da
parte delle Prefetture e della Corte dei Conti, soprattutto nel corso
dell’emergenza immigrazione del 2011, in particolare nel primo semestre
dell’anno, quando il coordinamento degli interventi di accoglienza era affidato alla Prefettura di Palermo,
appare sempre più fondato il dubbio che una ingente quantità di risorse
pubbliche sia stata sprecata senza realizzare compiutamente quelle finalità che
ci si proponeva.
Come era emerso in precedenti visite, anche in questa occasione abbiamo
potuto constatare come il centro polifunzionale di Pian del Lago sia insieme un
luogo di detenzione e di accoglienza, un’accoglienza che assume i caratteri di
un vero e proprio confinamento, per i rilevanti poteri assegnati al Prefetto ed
alla questura nel rilascio dei documenti di soggiorno che possono garantire la
libera circolazione sul territorio nazionale, e dei documenti di viaggio che
possono consentire il trasferimento temporaneo in altri paesi dell’Unione
Europea. Numerosi i disagi igienici lamentati dagli ospiti, derivanti
soprattutto dall’invecchiamento delle strutture e dalla fatiscenza dei servizi
igienici, anche se il personale sembrava impegnato a mantenere la struttura
nelle condizioni relativamente migliori.
Il vecchio centro di identificazione e espulsione (CIE),ubicato proprio
nella parte più interna del centro “polifunzionale”, in occasione della visita
del 27 aprile, restava chiuso per la piccola delegazione di LasciateCientrare,
in assenza di parlamentari ,o di giornalisti autorizzati dal Ministero
dell’interno, ma anche visto da fuori confermava le caratteristiche che
conosciamo bene da tempo. Il centro, che altro non è che il vecchio Cpt (centro
di permanenza temporanea) aperto dal 1998 e soggetto a continui lavori di
ristrutturazione, dopo il rogo che lo aveva distrutto in parte nel 2009, e consiste
in una serie di baracche in muratura, con camerate di sei letti, aperti su un
cortile di cemento nel mezzo del quale si trova la mensa. All’interno del
cortile i migranti detenuti, una volta liberi di spostarsi, almeno nel corso
della visita della delegazione risultavano invisibili, probabilmente perché le
forze dell’ordine li tenevano al chiuso delle camerate. Tutto intorno al CIE si
leva una gabbia di tubi d’acciaio alta nove metri, con una ulteriore elevazione
rispetto alle ultime visite. Alla sommità della gabbia i tubi sono ripiegati in
basso, verso l’interno, in modo da rendere impossibile ogni tentativo di fuga.
Tuttavia fino a poche settimane fa, sembra attraverso un portoncino, alcuni
immigrati sono riusciti a fuggire. Il Cie di Pian del Lago ha una capienza di
100 posti circa ma il tasso di occupazione appariva sensibilmente più basso.
Nei CIE siciliani, dopo l’attenuazione degli sbarchi, in media il 70% dei
trattenuti è costituito da ex detenuti, portati nel CIE a fine pena per
l’identificazione e il rimpatrio, un rimpatrio che spesso non si realizza
neppure dopo i primi sei mesi di detenzione. Poi ci sono le persone senza
documenti e con un precedente ordine di espulsione a cui non hanno ottemperato,
arrestate dalla polizia durante controlli dei documenti. E infine una parte di
quelli che sbarcano a Lampedusa, o sulle coste siciliane, soprattutto tunisini,
che dal controllo delle impronte digitali risultano essere già stati in Italia.
La percentuale dei rimpatri rimane comunque bassa. Meno del quaranta per cento.
Un dato che già emergeva dalla Commissione De Mistura che nel 2006 visitò i CPT
italiani, stimando che soltanto 6.000 dei 22.000 migranti che ogni anno
transitavano nei centri (oggi denominati Cie) venivano espulsi. Una percentuale
che oggi sembra ancora più bassa, mentre in compenso aumenta il numero degli
immigrati respinti direttamente, e spesso collettivamente, alle frontiere marittime ed aeroportuali, tra questi in
numero crescente gli egiziani.
Ma a Pian del Lago si fa anche accoglienza. Il centro per i richiedenti
asilo (Cara) può ospitare fino a 96 persone, nelle casette ubicate a sinistra
dopo l’ingresso dietro un’alta rete metallica che si apre solo con l’intervento
degli operatori dell’ente gestore. Poi c’è il centro d’accoglienza (CDA), che
ha 360 posti circa e ospita sia richiedenti asilo già in procedura che uomini e
donne appena trasferiti in base al Regolamento Dublino, o subito dopo
l’ingresso nel territorio nazionale, ai quali sono state rilevate le impronte
digitali ma che sono ancora in attesa di identificazione. Il CDA, che di fatto
funziona anche come un CARA è costituito da una serie di container grigi, con
aria condizionata e riscaldamento, disposti in fila su un piazzale di cemento.
In ogni container dormono da dieci a dodici persone, decisamente troppi, mentre
in passato erano mediamente da sei ad otto. Le donne stanno in un container a
parte vicino all’ingresso.. Queste due sezioni, dedicate all’accoglienza, sono
aperte dalle 10 del mattino fino alle 20-21.
Chiunque può uscire e rientrare a suo piacimento. A meno di non avere
violato qualche regola non scritta, come ad esempio essersi ubriacato
all’esterno del centro, circostanza che può anche comportare l’espulsione dal
centro, ma che è stata affrontata da parte della Prefettura di Caltanissetta
con la privazione del documento di riconoscimento e dunque con la inibizione
totale di uscire dalla struttura, sembrerebbe per quindici giorni, con una
limitazione totale dunque della libertà personale, senza alcuna convalida
giurisdizionale. Come motivazione ufficiale, alla delegazione veniva riferito
che era stato lo stesso immigrato a distruggere o a perdere sistematicamente il
documento identificativo, e che per questa ragione passavano alcuni giorni
prima del rilascio del duplicato, giorni nei quali la persona in questione non
poteva uscire dal centro. Un esercizio della discrezionalità amministrativa
sicuramente in contrasto con quanto previsto da leggi e regolamenti. In ogni
caso si trattava di una persona con evidenti problemi di alcolismo che avrebbe
meritato una cura particolare.
La circostanza che una parte dei richiedenti asilo non aveva ancora avviato la procedura con la
compilazione del cd. modulo C 3 e la presenza di altre persone, prevalentemente
pakistani ed afghani, che erano stati rinviati da altri paesi europei in
applicazione del Regolamento Dublino n.343 dl 2003, comporta in ogni caso
vistose differenze circa l’esercizio effettivo della libertà di circolazione,
riconosciuto pienamente, seppure nell’ambito di una precisa fascia oraria
(8-20), soltanto a coloro che erano ufficialmente entrati in procedura con la
redazione del modulo C 3.
Come al solito manca qualunque collegamento a servizio del centro e la
strada verso Caltanissetta era disseminata di pedoni, che sotto il sole
raggiungevano la città, dopo un’oretta di cammino. I migranti rimangono a Pian
del Lago fino alla fine dell’iter della domanda d’asilo, e comunque in qualche
caso anche oltre i sei mesi che dovrebbero costituire il termine massimo di
permanenza nei CARA. Ma anche per coloro che ricevono uno status di silo, di
protezione sussidiaria o di protezione umanitaria le prospettive sono assai
incerte anche per la cronica mancanza di posti nel sistema nazionale di
accoglienza per i rifugiati. Ognuno prende la sua strada, appena può disporre
di un valido titolo di soggiorno, e qualche volta anche prima, magari verso
altri paesi europei nei quali si trovano già parenti ed amici, dove se riescono
a lavorare per qualche anno, cosa in Italia sempre più difficile, potrebbero
anche stabilirsi definitivamente. Per molti l’Italia, e la Sicilia, sono
soltanto luoghi di transito e non di insediamento definitivo.
2. Le criticità di carattere legale emerse nel corso della visita
Quanto
rilevato durante la visita nel CIE/CARA di Caltanissetta, soprattutto per i
ritardi cronici che sono stati riscontrati, induce a richiamare alcuni principi
fondamentali della procedura per il riconoscimento dello status di protezione
internazionale. Come riferito nella ricerca “Il
diritto alla protezione” coordinata dall’ASGI “l’art. 26 c.1 e 2, del
decreto legislativo 25 del 2008, in conformità ai principi generali di diritto
amministrativo, prevede che la ricezione della domanda di asilo da parte
dell’autorità di PS, con conseguente rilascio (c.3 e 4) del verbale di ricezione
dell’istanza, del permesso di soggiorno o di attestato nominativo, nonché con
attivazione delle misure di accoglienza, avvenga contestualmente o subito dopo la
presentazione della domanda stessa, che come si è detto, si sostanzia nella chiara
manifestazione di volontà del richiedente. L’emergere di esigenze organizzative
da parte degli uffici competenti che producano una dilatazione significativa
del tempo intercorrente tra la presentazione della domanda e la sua
formalizzazione non possono andare a danno del richiedente, né sotto il profilo
della regolarità della presenza nel territorio nazionale nelle more del
procedimento, né sotto il profilo dell’immediatezza delle necessarie misure
assistenziali. In altri termini, la condizione giuridica dello straniero che è
in attesa della verbalizzazione della sua domanda di asilo è quella di richiedente
la protezione internazionale, ancorché lo stesso sia stato munito solo di un
invito (sotto forma di cedolini o simili) a presentarsi in una data successiva
per l’espletamento della procedura, o sia addirittura sprovvisto di ogni
documentazione in ragione di appuntamenti verbali.
Nello
stesso periodo di attesa al richiedente va garantito l’accesso alle misure
assistenziali che il D.Lgs 140/05, art. 5 fa decorrere “ dal momento della presentazione
della domanda”.
Si richiama il dettato normativo della Direttiva Accoglienza, ove si stabilisce
infatti che “gli
Stati membri provvedono affinché, entro tre giorni dalla presentazione della
domanda
di
asilo all’autorità competente, ai richiedenti asilo sia rilasciato un documento
nominativo
che
certifichi lo status di richiedente asilo o che attesti che il richiedente
asilo è autorizzato a soggiornare
nel territorio dello Stato membro nel periodo in cui la domanda é pendente o é
in esame” (art. 6, c. 1 Dir. 2009/3/CE). Del resto,
il successivo art. 13, c. 1 della Direttiva Accoglienza prevede che “Gli Stati membri provvedono a che i
richiedenti asilo abbiano accesso
alle condizioni materiali d’accoglienza nel momento in cui presentano la
domanda di
asilo”. Pertanto, alla luce delle disposizioni
comunitarie è necessario che il sistema di accoglienza per i richiedenti asilo
sia effettivamente organizzato in modo da garantire immediata accoglienza al
momento della presentazione della domanda”.
Nessuno di coloro che, nel corso della visita al CIE/CARA di Caltanissetta
ed al suo esterno, dichiaravano di avere fatto richiesta di asilo da oltre sei
mesi, risultavano peraltro in possesso di un permesso di soggiorno temporaneo,
o tantomeno, avevano avuto la possibilità di stipulare u contratto di lavoro,
come pure la direttiva comunitaria 2003/9 ed il decreto legislativo di
attuazione n.140 del 2005, avrebbero dovuto consentire. Molti chiedevano come
fare per trasferirsi in altri paesi europei e il protrarsi della procedura
rendeva questa ipotesi come una soluzione praticabile, mentre in realtà può
compromettere gravemente il destino del richiedente asilo. Infatti l’abbandono del centro
non è più considerato una implicita rinuncia alla domanda di riconoscimento
della protezione, ma “fa cessare le condizioni di accoglienza”.
E si
possono comunque verificare altre gravi conseguenze. Nel caso di
abbandono dei
centri da parte dei richiedenti asilo, la
decisione circa la domanda di protezione può essere infatti adottata senza
l’audizione del richiedente. E dopo il diniego in Italia
rimane alta la possibilità che la persona, una volta raggiunto un altro paese
europeo, magari senza documenti di identità, o di soggiorno, possa essere
oggetto di una richiesta di riammissione nel nostro paese ed essere
ritrasferita dunque in Italia, dove non ha altra possibilità, se ne ricorrono i
presupposti, che presentare una nuova domanda di protezione internazionale.
Di
fronte alle difformità dei criteri decisionali emersi nell’operato delle
diverse commissioni territoriali[3]
sarebbe inoltre auspicabile che la Commissione centrale eserciti il suo potere
di indirizzo, stabilendo un minimo di omogeneità e ponendo un freno alla
discrezionalità riscontrabile anche all’interno
delle diverse Commissioni, che in qualche occasione hanno deciso con esiti
opposti su casi assolutamente identici. Auspicio che appare ancora più urgente,
come si vedrà, nel caso dei profughi di diversa nazionalità, fatti partire con
la violenza nel 2011 dalla Libia, per la maggior parte dei quali le commissioni
territoriali hanno adottato decisioni negative che non tengono neppure conto
della possibilità di riconoscere uno status di protezione umanitaria in base
all’art. 5 comma 6 del Testo Unico sull’immigrazione n.286 del 1998, se non
sulla scorta dell’art. 20 dello stesso Testo Unico,che richiederebbe un
provvedimento legislativo di portata generale, come pure si è fatto con i
tunisini giunti in Italia fino al 5 aprile 2011.
Mentre
alcuni immigrati all’interno del CDA/CARA non vedevano l’ora di potersi
allontanare da Caltanissetta con i documenti in regola, o addirittura senza
avere completato la procedura, all’esterno della struttura, ai bordi della
strada, su un marciapiede assai stretto, sfiorati dalle macchine che passavano
a grande velocità, bivaccavano oltre venti richiedenti asilo pakostani ed
afghani che chiedevano di entrare nella struttura ma che venivano lasciati
all’addiaccio, nutriti dalla solidarietà dei loro compagni già in accoglienza,
che gli portavano un poco di cibo in attesa che all’interno si liberasse un
posto. Un cibo che veniva consumato mangiando nei piatti posati per terra in
mezzo alle sterpaglie.
La
centralizzazione della gestione dei posti nei CARA presso il Dipartimento
Libertà civili del Ministero dell’interno, i tempi morti nella comunicazione tra
il Dipartimento e le singole Prefetture o Questure, ed i tempi sempre assai
lunghi di esame delle richieste di asilo da parte della Commissione
territoriale di Siracusa, creano un evidente ingolfamento del sistema. A
Caltanissetta molti di coloro che erano accolti all’interno del centro hanno
confermato di avere dovuto fare una “anticamera” di sette-dieci giorni prima di
potere entrare nel CARA. Tra le persone in attesa sulla strada qualche caso
Dublino, alcuni che erano stati soltanto identificati con il rilievo delle
impronte digitali ed altri che asserivano di avere già compilato il modello C 3
e di essere dunque entrati a pieno titolo nella procedura di asilo. Una
situazione intollerabile che è aggravata da evidenti disfunzioni, come quelle
verificate quando i richiedenti asilo ospitati all’interno della struttura sono
stati condotti a Siracusa e sono rientrati senza essere stati esaminati perché
quel giorno la Commissione aveva sospeso la sua attività, oppure come si è
verificato per alcuni ch erano stati convocati per il 20 aprile, non si sono
reperiti i mezzi per trasferirli a Siracusa, con ennesimi rinvii ed ulteriore
affollamento della struttura di Pian del Lago. Anche le esigenze del megaCARA
di Mineo, oltre 1600 persone, che assorbono già il lavoro di una
sottocommissione della Commissione territoriale di Siracusa, concorrono a
rallentare l’esame delle pratiche delle persone “ospitate” nel CDA/CARA di Pian
del Lago a Caltanissetta. La
creazione del megacentro di Mineo ha avuto effetti devastanti sulle procedure
di migliaia di richiedenti asilo, già avviate in diverse parti d’Italia, che
una volta trasferiti a Mineo, nel corso del 2011, hanno dovuto ricominciare da
capo la trafila burocratica trovandosi costretti a protestare, con gravi
episodi di repressione violenta da parte delle forze di polizia
Una
situazione oggettivamente intollerabile che potrebbe risolversi soltanto con il
trasferimento della Commissione di Siracusa, o di una sua sottocommissione che
andrebbe creata ad hoc, a Caltanissetta, in modo da esaminare le richieste di
asilo nei tempi previsti dalla legge e dalle Direttive comunitarie. Una
soluzione che in passato veniva adottata e che oggi sembra preclusa dal
drastico taglio delle diarie previste per i trasferimenti della Commissione di
Siracusa, che di fatto si sposta a Caltanissetta soltanto per esaminare le
istanze di protezione internazionale degli immigrati detenuti all’interno del
CIE. Per tutti gli altri tempi di attesa che possono anche superare i nove mesi,
come abbiamo constatato in diversi casi.
Durante
la visita a Caltanissetta sono emerse altre criticità consistenti nel rifiuto
sistematico della Questura di formalizzare nuove domande di asilo da parte di
soggetti che avessero già ricevuto un diniego da parte della competente
commissione territoriale. Si tratta dei casi in cui i richiedenti protezione
internazionale chiedono
una seconda audizione innanzi alla Commissione Territoriale di Siracusa per il
riconoscimento della protezione internazionale, nonostante avessero già
sostenuto una audizione innanzi alla Commissione stessa, ed avessero ricevuto
esito negativo, fossero nel frattempo venuti in possesso di nuovi elementi che
potessero dare sostegno probatorio a quanto precedentemente raccontato, ex art 31 decreto legislativo 28 gennaio
2008, n° 25. Si tratta di casi piuttosto frequenti di persone che sono state
verbalizzate in condizioni di scarsa informazione e di grande confusione,
durante l’emergenza sbarchi del 2011 o in altre circostanze analoghe, e che
magari hanno ricevuto un diniego solo per la difformità tra quanto dichiarato
inizialmente nel modello C 3 e quanto successivamente riferito durante
l’audizione in commissione. Si tratta di casi nei quali la richiesta di riesame
potrebbe persino evitare la proposizione di un ricorso giurisdizionale e dunque
un ulteriore sovraccarico dei Tribunali. Ma la questura di Caltanissetta non
sembra dello stesso avviso.
Da una
circostanziata denuncia dello Sportello migranti di Caltanissetta è emerso che “ alcune persone che, pur avendo richiesto un nuovo esame da parte della
Commissione Territoriale di Siracusa per il Riconoscimento della Protezione
Internazionale, ed avendo ricevuto, da parte della Commissione stessa, invito a
recarsi presso la Questura di Caltanissetta, distaccamento di Pian del Lago,
per formalizzare il modello C3 necessario per il proseguimento della loro
procedura, si sono trovati dinnanzi
all’impossibilità di formalizzare il modello di cui sopra a causa di un lungo
silenzio da parte degli uffici di Pian del Lago”. In seguito
lo Sportello veniva contattato
telefonicamente, in data 17 aprile 2012, da personale in servizio presso il centro di Pian del Lago di
Caltanissetta per concordare,
finalmente, le date in cui i richiedenti dovrebbero recarsi presso il centro
per redigere il modello C3. Nel corso dello stesso colloquio, però, si
informavano gli operatori dello sportello
del fatto che, contestualmente alla redazione del modello C3, si sarebbe
notificato, alle stesse persone convocate, un decreto di espulsione con intimazione a lasciare
il territorio italiano.
La
prassi adottata dalla Questura di Caltanissetta contrasta con il decreto Lgs. n
25/2008, secondo il quale ”Il
richiedente e' autorizzato a rimanere nel territorio dello Stato, ai fini
esclusivi della procedura, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 11 del
decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 140, fino alla decisione della
Commissione territoriale in ordine alla domanda”. Peraltro dovrebbe risultare evidente che la stessa lettera con cui la
Commissione Territoriale di Siracusa per il riconoscimento della protezione
internazionale invita i richiedenti a recarsi in Questura a Caltanissetta per formalizzare il modello C3 denota una
valutazione di ammissibilità all’esame da parte della stessa Commissione, la
quale altrimenti si sarebbe direttamente pronunciata dichiarando inammissibile
la domanda inoltrata dai richiedenti e la documentazione inviata a sostegno
della stessa. Lo
stesso decreto legislativo n.25 del 2008 ha privato l’autorità di polizia di
qualsiasi potere di valutare infondata una richiesta di protezione
internazionale [4].
Nessuna
questura italiana può dunque reagire alla riproposizione di una nuova domanda
di asilo, sollecitata peraltro da una Commissione territoriale, comminando un
provvedimento di espulsione, che potrebbe avere anche come conseguenza
l’internamento in un CIE con l’adozione della procedura accelerata, piuttosto
che l’accoglienza in un CARA con il ricorso alla procedura ordinaria [5]. L’emissione del decreto di espulsione a carico di chi
si presenta in questura per riproporre la domanda di protezione internazionale
sulla base di fatti nuovi, risulta
dunque
discriminatoria, vessatoria ed illegittima in
considerazione del fatto che il diritto alla nuova audizione è sancito direttamente
dal decreto legislativo n. 25/2008, senza che sia prevista nella
normativa vigente la contestuale notifica di un decreto di espulsione.
La
Direttiva 2003/9/CE sulle norme minime in materia di
accoglienza dispone laddove che: “gli stati membri provvedono che le condizioni materiali di accoglienza non
siano revocate o ridotte prima che sia presa una decisione
negativa” (art.
16 comma 5) Scaduto il termine di cui al citato art, 20 c.3 del D.Lgs 25/08 il richiedente diviene un
soggetto titolare di un permesso di soggiorno per richiesta
di asilo valido fino alla conclusione dell’iter di esame della domanda di asilo in sede amministrativa e dell’eventuale
ricorso giurisdizionale in caso di diniego.
3. I problemi derivanti dall’applicazione del Regolamento Dublino 2 n.343
del 2003
Si rileva infine
che i numerosi casi Dublino presenti nel CARA di Pian del Lago a Caltanissetta,
in costante aumento, come verificabile in altri CIE italiani, impongono una
attenta riflessione sul ruolo del Regolamento Dublino 2 e sul rischio che
l’Unità Dublino, costituita presso il Ministero degli esteri, possa proporre la
successiva riammissione in Grecia degli Afghani e dei Pachistani che sono
arrivati in Italia provenendo dalla Grecia, in prevalenza dal porto di
Patrasso, tramite le frontiere portuali di Ancona e di Venezia, e che, dopo
essere passati in altri stati europei, sono stati riammessi in Italia per
effetto del Regolamento Dublino 2 n.343 del 2003.
In questa
materia si deve ricordare un importante
intervento della Corte Europea dei diritti dell'uomo, che, dopo un ricorso in
via di urgenza, ai sensi dell'art. 39 del regolamento di procedura, già diversi
anni fa, ha intimato allo Stato italiano la sospensione dell'espulsione di un
cittadino afghano verso la Grecia. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo,
seconda sezione, il 18 novembre 2008, emanava un provvedimento d'urgenza, nel
quale si ravvisava la possibile violazione dell’art. 34 della CEDU intimando
allo Stato italiano di sospendere l’espulsione di un cittadino afghano verso la
Grecia fino al 10 dicembre 2008 (CEDH-LF2.2R,
Requete n°55240/08, M. c. Italie)
L'assemblea
del Consiglio d'Europa, il 27 gennaio 2011, ha
espresso a sua volta una grave preoccupazione per il rapido incremento
delle richieste di misure provvisorie per bloccare espulsioni o trasferimenti
in base al Regolamento Dublino 2, che assegna al primo paese di ingresso in
Europa la competenza a ricevere e ad esaminare le richieste di protezione
internazionale, richiamando la circostanza che alcuni stati - come la Grecia -
non possono essere considerati paesi sicuri (safe for returns) per ricevere immigrati
espulsi, allontanati o trasferiti da altri stati membri dell’Unione Europea. Sarebbero
oltre mille i casi pendenti davanti alla Corte di Strasburgo sull’applicazione
del Regolamento Dublino 2.
Con un ulteriore
sentenza del 21 gennaio 2011, della Corte Europea dei diritti dell'Uomo
relativa all'applicazione del "Regolamento Dublino" tra Belgio e
Grecia (sentenza M.S.S. c. Belgio e
Grecia), si è ribadito che il Regolamento Dublino 2, n. 343 del Consiglio, adottato il 18
febbraio 2003, non impedisce che gli Stati, in alcuni casi, al fine di
garantire il rispetto dei diritti fondamentali affermati dalla Convenzione
deroghino all'applicazione dei criteri generali di competenza
nell'individuazione del Paese che deve decidere sulla richiesta di asilo [6]
Con la sentenza del. 21 dicembre 2011 (cause riunite
C-411 e 493/2010), con riferimento ai casi di trasferimento di richiedenti
asilo dal Regno Unito e dall'Irlanda verso la Grecia, la Corte di Giustizia
della UE ha poi riconosciuto che "
il diritto dell’Unione osta a una presunzione assoluta secondo la quale lo
Stato membro che il regolamento designa come competente rispetta i diritti
fondamentali dell’Unione europea. Gli
Stati membri, infatti, compresi gli organi giurisdizionali nazionali, sono
tenuti a non trasferire un richiedente asilo verso lo Stato membro designato
come competente quando non possono ignorare che le carenze sistemiche nella
procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo
costituiscono motivi seri e comprovati di credere che il richiedente corra un
rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’art. 4
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea". Secondo la Corte, gli Stati membri dispongono di vari strumenti
adeguati per valutare il rispetto dei diritti fondamentali e, pertanto, i
rischi realmente corsi da un richiedente asilo nel caso in cui venga trasferito
verso lo Stato competente. E’ dunque possibile che lo stato sospenda
l’applicazione del Regolamento Dublino avvalendosi della cd. clausola
umanitaria o della clausola di sovranità [7].
Anche in Italia i giudici amministrativi hanno accertato come in
Grecia non si verifichino le condizioni minime di accoglienza e di ammissione
alle procedure di protezione internazionale che consentirebbero la
utilizzazione del regolamento Dublino 2 ai fini del trasferimento in quel paese
dei richiedenti asilo giunti in Italia dopo esservi transitati. Secondo il
Tribunale Amministrativo del Lazio ( sentenza 11 febbraio 2011, n. 1363) è
stata accertata la possibile violazione del Regolamento
Dublino 2 da parte delle autorità italiane, peraltro alla stregua del parere
cautelare emesso dal Consiglio di Stato ( con ordinanza n. 3428 del 14 luglio
2009 e da ultimo con la sentenza n. 8508 del 26 aprile 2010) [8].
Secondo la successiva
sentenza del Tribunale amministrativo del Lazio n. 1551 del 15 febbraio 2012,” sebbene la Grecia abbia successivamente ratificato e
recepito sia la “Direttiva procedure (2005/85/CE) l’11/7/08, la “Direttiva
qualifiche” (2004/83/CE) il 30/7/07 e la “Direttiva accoglienza” (2003/9/CE) il
13/11/07 e dal luglio del 2008 non applichi più il diniego automatico alle
procedure d’asilo cosiddette“interrotte”, la situazione in cui versano i
richiedenti asilo in Grecia è soltanto migliorata ma non è ancora equiparabile
a quella esistente negli altri paesi europei come emerge chiaramente dalla
disamina della raccomandazione dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per
i Rifugiati del dicembre 2009 (successiva al recepimento delle direttive
comunitarie) con la quale l’Alto Commissariato ha dichiarato di “continuare ad
opporsi ai trasferimenti verso la Grecia ai sensi del Regolamento Dublino II”
in considerazione dei problemi osservati nella procedura di asilo greca, che le
stesse Autorità greche riconoscono”.
Anche
l'Italia, come la Grecia, non può essere ritenuta un paese sicuro per i
richiedenti asilo. Negli ultimi anni una serie di decisioni di Tribunali
amministrativi tedeschi hanno bloccato i trasferimenti forzati di migranti
richiedenti asilo verso l'Italia, in applicazione del Regolamento Dublino 2.
Secondo l'orientamento prevalente in Germania, chiaramente espresso in queste
decisioni, il quadro legislativo, e soprattutto le prassi applicative,
quindi i comportamenti della polizia italiana in frontiera, non
corrispondono agli standard di garanzia imposti dal diritto comunitario e
riconosciuti dal diritto tedesco, infatti “in
Italien nicht an den zu fordernden und bei Einfügung des § 27a AsylVfG
vorausgesetzten union- bzw. völkerrechtlichen Standard heranreichen.
Insbesondere ist fraglich, ob die Antragsteller ihre Asylgründe in Italien noch
uneingeschränkt vorbringen können”. In particolare, si dubita fortemente.
da parte dei giudici tedeschi, che i richiedenti asilo in Italia possano
esporre senza limitazioni indebite le ragioni sulle quali si basa la loro
istanza di protezione internazionale.[9] Nelle decisioni dei
tribunali amministrativi tedeschi si sottolinea pure la penosa condizione
abitativa cui sono costretti i richiedenti asilo in Italia, peraltro costretti
assai spesso alla condizione di senzatetto, esattamente come i pakistani e gli
afghani da noi incontrati, che sono costretti a bivaccare all’esterno del
CIE/CARA di Pian del Lago a Caltanissetta [10].
Non
si possono neppure tacere, in conclusione, le conseguenze negative riscontrate sulle
persone incontrate durante la visita della delegazione di LasciateCientrare nel
CDA/CARA/CIE di Pian del Lago a Caltanisssetta. Anche in questo caso si tratta
di criticità già segnalate nella ricerca coordinata dall’ASGI “Il diritto alla protezione” sulle quali
nessuno sembra volere intervenire. “Spesso l’eventuale match positivo delle
impronte digitali determina l’avvio della procedura di accertamento dello Stato
membro competente all’esame, ma non la contestuale formalizzazione della
richiesta di protezione internazionale, che invece è nuovamente posticipata
alla definizione della procedura di accertamento della competenza ad opera
dell’Unità Dublino. Accade quindi che in tale periodo, dunque, lo straniero non
venga considerato formalmente un richiedente protezione internazionale avente
diritto ad una forma di accoglienza nel progetto territoriale S.P.R.A.R, a meno
di casi eccezionali, posto che sino alla formalizzazione della richiesta il suo
nome non è inserito nella lista di attesa per l’inserimento in un posto S.P.R.A.R.
Parimenti, in attesa degli esiti degli accertamenti compiuti dall’Unità Dublino
spesso non viene rilasciato all’interessato un titolo di soggiorno per asilo -
attesa Dublino . Il tempo di attesa per il rilievo delle impronte digitali
varia infatti entro una forbice amplissima che va da alcuni giorni a diversi
mesi dal momento di dichiarazione della volontà di presentare la domanda. Detto
periodo può risultare uguale o persino superiore al termine massimo (tre mesi)
previsto dall’art. 17, paragrafo 1, del Regolamento n. 343/2003 per la
presentazione della domanda di presa in carico del richiedente allo Stato
membro individuato come competente, il cui dies a quo, tuttavia, è quello di presentazione della domanda.
Da un lato, dunque, la mancata formalizzazione della domanda di protezione internazionale
agevola l’Unità Dublino nel rispetto dei termini per la presentazione di richieste
di presa in carico ad altri Stati membri dell’Unione europea, ma altera
l’operatività degli stessi criteri gerarchici che l’Amministrazione è chiamata
ad applicare in attuazione del cd Regolamento Dublino II determinando altresì
situazioni di grave disagio per il richiedente asilo”.
Fulvio
Vassallo Paleologo
ASGI-
Associazione studi giuridici sull’immigrazione
29.4.2012
[1] Nello
Schema di Capitolato di appalto per la gestione dei centri di accoglienza per
immigrati, adottata dal Ministero dell’interno nel 2008 si distinguono:
1) Centri di primo soccorso
ed assistenza (CSPA) – strutture localizzate in prossimità dei luoghi di sbarco
destinate all’accoglienza degli immigrati per
il tempo strettamente occorrente al loro trasferimento presso altri centri (indicativamente
24/48 ore); questi centri sono centri chiusi e nell’ultimo periodo anche
l’ACNUR ha subito forti limitazioni all’ingresso
2) Centri di accoglienza
(CDA) – strutture destinate all’accoglienza degli immigrati per il periodo necessario alla definizione dei provvedimenti
amministrativi relativi alla posizione degli stessi sul territorio nazionale
(Legge 29 dicembre 1995 n. 563 – c.d. Legge Puglia); questi centri non
sarebbero sulla carta centri chiusi, ma fino a quando gli immigrati non vengono
identificati con il rilascio di un attestato nominativo, in genere, non vengono
lasciati uscire liberamente. Ma in questa materia domina la discrezionalità
amministrativa.
3) Centri di accoglienza
per Richiedenti asilo (CARA) – strutture destinate all’accoglienza dei richiedenti asilo per il periodo
necessario alla loro identificazione o all’esame della domanda d’asilo da parte
della Commissione territoriale (Decreto Lg.vo 28 gennaio 2008 n. 25); sono
centri aperti dai quali si può uscire dalle 8 alle 20 e ci si può allontanare
per giustificati motivi, anche per alcuni giorni, su autorizzazione del
Prefetto
4) Centri di
identificazione ed espulsione (CIE) – strutture (così denominate ai sensi del
Decreto legge 23 maggio 2008 n. 92) destinate al trattenimento dell’immigrato irregolare per il tempo
necessario alle forze dell’ordine per eseguire il provvedimento di espulsione (Legge
6 marzo 1998 n. 40). Questi sono centri chiusi nei quali possono essere
trattenuti anche richiedenti asilo che in questo caso hanno diritto ad una
procedura accelerata ed alla convalida eventuale del provvedimento di
trattenimento da parte del giudice ordinario e non del giudice di pace.
[2] Ad
avviso pressoché unanime degli enti di tutela ascoltati nel corso di singole
interviste della ricerca “Il diritto alla protezione” e nei Focus Group, il
periodo di permanenza nei C.D.A-C.A.R.A. si attesterebbe su un periodo non
inferiore a otto-dieci mesi, con punte superiori all’anno nel caso di richiedenti
asilo nei cui confronti è pendente l’accertamento della competenza all’esame
della domanda di asilo ai sensi del cd. Regolamento Dublino II.
[3] Si rinvia per i dati relativi, alla ricerca“Il diritto alla
protezione“ già citata in precedenza, nel sito www.asgi.it
, a pag.180
[4] Come si sottolinea nella ricerca Il
Diritto alla protezione, pubblicata nel sito www.asgi.it, poiché
ai sensi dell’art. 40 c.1. del D.Lgs 25/08 sono abrogate le previgenti
disposizioni di cui all’art. 1 comma 4 del decreto legge 20 dicembre 1989 n.
416 convertito in leggecon modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990 n. 39
che non consentivano l’ingresso nel territorio dello Stato allo straniero che
intendesse presentare domanda di asilo e nei cui confronti ricorresse una delle
ipotesi indicate dal citato comma 4, tutte le istanze di asilo debbono essere
recepite dall’autorità di P.S., senza esclusione alcuna, ivi comprese quelle
che possono essere oggetto di una valutazione di inammissibilità da parte della competente Commissione
territoriale, ai sensi dell’art. 29 del D.Lgs 25/08.
[5] Si
richiama sul punto quanto affermato dalla Suprema Corte di Cassazione, sezione prima
civile, nella sentenza n. 26253 del 15.12.09 che nel ribadire il pieno diritto
di accesso alla procedura di asilo da parte del richiedente bisognoso della protezione
internazionale, ha sancito che le autorità hanno l’obbligo tassativo di astenersi
dall’assumere provvedimenti di espulsione o respingimento che possano impedire la
definizione del procedimento di asilo, affermando che “dal predetto quadro normativo
emerge incontestabilmente che il cittadino extracomunitario giunto in
condizioni di clandestinità
sul territorio nazionale e come tale suscettibile di espulsione ex art. 13 co.2
lettera A
del d.lgs 286/98 abbia il diritto di presentare istanza di protezione
internazionale e che l’Amministrazione abbia il dovere di
riceverla (inoltrandola al questore per le determinazioni di sua
competenza) astenendosi da alcuna forma di respingimento e di alcuna misura di
espulsione che
impedisca il corso e la definizione della richiesta dell’interessato innanzi
alle commissioni designate in ossequio al dettato di legge”
[6] Secondo la sentenza, è stato il
Belgio a violare la Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell'uomo e
non può trincerarsi dietro il rispetto di obblighi internazionali come
l'attuazione del Regolamento Dublino proprio perché, avendo dati certi sulla
situazione dei richiedenti asilo in Grecia, non avrebbe dovuto procedere
all'espulsione di un cittadino afgano trasferito ad Atene. La Grande Camera
della Corte di Strasburgo ha anche precisato che lo stesso Regolamento n.343
del 2003 impone il rispetto della Convenzione di Ginevra, dunque anche del
principio di non refoulement, e
contempla precise eccezioni nell'applicazione dei criteri di competenza per
l'esame della domanda di asilo, se nel Paese che sarebbe competente non sono
garantiti i diritti fondamentali dei richiedenti protezione internazionale. La
Corte, inoltre, ha ritenuto che, il Belgio, decidendo di consegnare un
cittadino afgano- che vi era transitato- alla Grecia, primo stato di ingresso
nell'area Dublino, ha violato l'articolo 3 della Convenzione che vieta i
trattamenti disumani e degradanti, nonché gli articoli 13 ( diritto ad un
ricorso effettivo) e 46 ( forza vincolante ed esecuzione delle sentenze CEDU)
della stessa Convenzione. La Corte ha quindi condannato la Grecia per le gravi
violazioni relative al trattamento dei richiedenti asilo e ha stabilito misure
per indennizzare il ricorrente.
[7] Nella
causa C-411/10 davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea il sig.
N.S., cittadino afgano, risultava tratto in arresto il 24 settembre 2008 in
Grecia. In Grecia non aveva potuto presentare domanda di asilo. Scarcerato, gli
veniva ingiunto di lasciare il territorio greco entro 30 giorni, quindi veniva
espulso in Turchia. Evaso dalle carceri turche, riusciva a raggiungere infine
il Regno Unito, dove giungeva il 12 gennaio 2009 chiedendo contestualmente asilo. Il 30 luglio
2009 veniva informato che sarebbe stato trasferito in Grecia il 6 agosto 2009,
in conformità delle disposizioni del regolamento Dublino n. 343/2003 [7].
[8] Le violazioni da parte della Grecia dei diritti
dell’uomo – accertate anche ad opera della Corte Europea dei diritti dell’Uomo
– secondo i giudici amministrativi italiani- devono indurre le autorità
amministrative ad effettuare una più approfondita valutazione della particolare
situazione nella quale si sarebbe potuto trovare il ricorrente, in quanto
richiedente asilo, chiarendo, proprio con riferimento alla situazione dello
stesso, per quale ragione, nonostante le contrarie raccomandazioni
internazionali, il suo trasferimento verso la Grecia dovesse ritenersi
obbligatorio o comunque preferibile rispetto alla possibilità di fare
applicazione delle clausole di deroga, cfr. da ultimo T.A.R. Lazio Roma, sez.
II, 07 giugno 2010 , n. 15857.
[9] Le sentenze, rintracciabili nel sito www.asyl.net , sono ben quattro solo nel mese di gennaio
2011, e impongono di non considerare l'Italia come un “paese sicuro” ai fini
dell'applicazione del regolamento Dublino 2, in quanto non si può
costatare con la necessaria certezza che le domande di asilo possano essere
presentate in Italia nel rispetto delle garanzie offerte dalle direttive
comunitarie e dal Regolamento Eurodac. Cfr. In particolare VG Köln, Beschluss vom 10.01.2011 http://www.asyl.net/index.php?id=185&tx_ttnews[tt_news]=41626&cHash=6843dd2173 ;
[10] Im Hauptsacheverfahren ist zu
prüfen ist, ob Italien ein Asylverfahren gewährt, dass mit den Standards
Europäischen Flüchtlingsschutzes zu vereinbaren ist. Trotz der bevorzugten
Behandlung von Dublin-Rückkehrerinnen und -Rückkehrern kommt es in Italien bei
der Bereitstellung von Wohnraum angesichts der völlig überlasteten
Aufnahmekapazitäten zu Fällen von Obdachlosigkeit.