martedì 16 agosto 2011

Vite perdute

Condoglianze sincere? Ci stiamo solo prendendo in giro…
Immaginate di avere il compito di evitare che si verifichi una ecatombe in mare dovuta a naufragi, sete, fame e che, dopo aver ricevuto una segnalazione da imbarcazioni di pescatori o aver un rilevamento radar, incominci un azione di salvataggio con tutto l’impegno di mezzi, uomini e soldi pubblici.
Immaginate di dover soccorrere queste persone che come una roulette russa giocano con la propria vita sfidando la clemenza del mare sperando di non ribaltarsi alla prima onda. Immaginate in fine che dopo aver soccorso in ospedale una parte di loro per gravi ustioni e disidratazioni e aver seppellito un’altra parte di loro nel cimitero dell’isola, qualcuno vi venga a dire che ogni singola barca partita dalla Libia era conosciuta, avvistata, registrata e archiviata dall’intera flotta Nato che presidia le coste libiche già parecchi giorni prima del loro arrivo. Non solo questo è probabilmente il tratto di mare più trafficato e controllato del momento, ma anche gli stessi porti libici in mano ai ribelli, sono oramai sotto l’influenza della Nato dove non è possibile pensare che non si abbia la percezione di chi entra e di chi esce dal porto. Dall’immaginazione si arriva all’amara constatazione reale che ogni tragedia poteva essere evitata se fosse stato stabilito un cordone umanitario sull’altra sponda o anche solamente se fosse stato accolto l’S.O.S. di queste imbarcazioni che in alcuni casi hanno viaggiato alla deriva per settimane. Un’omissione di soccorso “internazionale” verso quei barconi con il loro carico umano che hanno fatto lo slalom tra le fregate militari fino ad uscire a fatica dal mar libico. Nel solo 2011 fino ad agosto si sono contati 1.674 morti nel tratto del canale di Sicilia su un totale di 5.962 dal 1994 (dati Fortress Europe). Un dato che tiene conto anche degli ultimi 25 morti trovati una decina di giorni fa in un barcone approdato qui sull’isola…

Sensazioni da Lampedusa
A Lampedusa lo spettro di queste morti si aggira intorno al così detto “cimitero delle navi”, un monumento “spontaneo” fatto di barconi sfasciati tirati in secca e ammassati uno sopra l’altro. Un monumento che cresce con il tempo e che racconta un coro di storie diverse, ognuna per ogni relitto. Ad uno sguardo più attento, girando tra le barche abbandonate, si possono anche trovare oggetti personali. Nella sede dell’associazione Askavusa si possono vedere questi oggetti raccolti per farne una esposizione: corani, bibbie, foto di famigliari, portafogli, portafortuna, vestiti, tante scarpe, scatolette vuote di cibo, torce, pentolini e pacchetti vuoti di sigarette con scritte arabe… A queste immagini nei giorni scorsi è stato associato un nome durante la “Preghiera per la pace nel Mediterraneo” organizzata da Don Stefano, della chiesa di Lampedusa. In questa occasione è stato letto un elenco di nomi di alcune delle persone morte o scomparse di cui si è riuscito a recuperare l’identità o a ricostruirne la storia. Senza un nome invece rimangono le tombe del cimitero dove si può leggere solo una parola di identificazione sul cemento: “Extracomunitario” o in modo ancora più grottesco, “Cadavere”. Altre tombe invece hanno soltanto una croce, per tanti addirittura a dispetto del loro credo religioso. A ricordo dei 25 morti di 10 giorni fa un’esposizione a piazza del Castello mostra una videoinstallazione dedicata alla sofferenza di queste persone morte  soffocate nella stiva di una barca: si entra in una piccola cabina buia dove solo una fessura di luce entra commista al fumo del motore. Il senso di limitazione dello spazio, di immobilità e di costrizione servono a farci vivere per un attimo la loro lunga agonia…

Julika Brandi & Giulio Montemauri, Forum Antirazzista di Palermo