In questo paradossale silenzio abbiamo seguito i movimenti sull’isola: un flusso dal porto vecchio ai centri di accoglienza, un secondo dai centri a cala pisana dove era attraccata la “Moby Fantasy” pronta per il trasferimento “di metà della popolazione dei centri di accoglienza” (fonte ufficiosa guardia costiera). Abbiamo assistito alle procedure di imbarco: difficile conciliare le esigenze di ordine pubblico della polizia con l’emotività di persone comuni che si vedono considerati come detenuti da tenere sotto controllo. Questa necessità di ordine si concretizza in un sistema puramente meccanico e freddo: per tutto il giorno andata e ritorno (centro accoglienza – nave) di piccoli pullman stipati di persone, attesa in due file davanti la nave, primo ordine in inglese “stop here” – “wait here” – “move on”, ingresso sulla rampa del traghetto e infine nuovo comando di attesa “sit here and wait”. Un comando che li accompagnerà ancora per tanto tempo, spesso anni, finché avranno ottenuto una risposta sul loro status. Sono ormai ben conosciute le conseguenze di tutto questo sulla loro salute mentale: una ferita apertasi nel paese d’origine (violenza, tortura, guerra, estrema povertà), e approfondita dal trauma di un’attraversata via mare (per tanti è anche il primo contatto con il mare) e dal confronto con un’Europa sfiduciata che come prima accoglienza mette addirittura in dubbio la loro identità e la loro storia.
Julika Brandi, Giulio Montemauri per il Forum Antirazzista di Palermo
Julika Brandi, Giulio Montemauri per il Forum Antirazzista di Palermo