Il 15 febbraio scorso, il ministro Maroni, durante la conferenza stampa tenutasi alla Prefettura di Catania, annunciava ai giornalisti l'idea del governo di ospitare a Mineo i richiedenti asilo distribuiti nei CARA - CDA di tutto il territorio nazionale, attribuendo la paternità del Villaggio della Solidarietà di Mineo al presidente del consiglio Silvio Berlusconi.
Sin da allora era per noi chiara la natura speculativa e razzista dell'operazione. Da una parte la deviazione di ingenti risorse pubbliche su una struttura, il Residence degli Aranci di Mineo, un complesso di 404 unità abitative di proprietà della Pizzarotti Parma, che, dopo la revoca del contratto di locazione del Dipartimento della Marina Militare USA, difficilmente avrebbe trovato un'altra destinazione d'uso, dall'altra la sua conversione in “centro a cinque stelle” per immigrati-clandestini-richiedenti asilo. Il villaggio di Mineo, del tutto isolato, distante oltre 10 chilometri dal più vicino centro abitato, più che un villaggio della solidarietà ci faceva pensare a un centro di segregazione, un esperimento di nuove politiche di detenzione dei migranti. Quando l'abbiamo visto, in occasione della manifestazione contro la presenza dei migranti irregolari promossa da alcuni sindaci del calatino, il villaggio aveva già assunto le caratteristiche di un centro di detenzione: doppia recinzione, telecamere, presenza massiccia di carabinieri, polizia, militari dell'esercito, ossessione securitaria mai espressasi durante la permanenza dei militari Usa di Sigonella, per anni protetti dai pericoli di attentati terroristici solo da una recinzione e da una guardiola. Il villaggio dell'accoglienza d'eccellenza si era trasformato in un carcere per i giovani tunisini provenienti da Lampedusa che andava svuotata rapidamente. La loro rabbia si è tradotta subito in una fuga di massa dal centro: a centinaia si sono avviati a piedi lungo la Catania - Gela in cerca di quella libertà che li aveva indotti a lasciare il loro paese. Nei mesi il Cara di Mineo, con funzione anche di centro d’accoglienza ha assunto la fisionomia attuale, una mega struttura segregazionista dove sono ospitati circa 2000 richiedenti asilo, in buona parte sradicati da altri Cara di tutto il territorio nazionale, liberi di uscire dal centro dalle otto di mattina alle otto di sera, sottoposti a regole tanto rigide quanto inutili. Il loro tempo trascorre in modo ripetitivo, in fila per entrare e uscire, in fila per mangiare, in fila per telefonare, tre minuti al mese di telefonate e cinque minuti di connessione internet; se va bene, otto minuti al mese è il tempo loro concesso per restare in contatto col mondo. Nel centro regna la disorganizzazione: pochi mediatori culturali, pochi corsi d'italiano, scarsa assistenza sanitaria, niente giornali e televisione, nessuna attività ricreativa e culturale, nessun percorso d'inserimento nel territorio. D'altra parte Mineo dista, andata e ritorno, 22 chilometri, da fare a piedi se non si posseggono i due euro della navetta, concessa da poco. La quantità e la qualità del cibo non sono gradite ai migranti, cucinare non è possibile, soprattutto i più giovani si sentono privati della propria identità. L'angoscia più grande riguarda però il futuro: la lentezza della commissione, lo scadente servizio d'interpreti, i dinieghi che cominciano ad arrivare numerosi (più del 50% stando a quanto ci hanno raccontato i migranti), le discriminazioni che colpiscono in particolare alcune comunità, come i pakistani del Punjab, le cui richieste sono state rigettate in blocco, e i migranti provenienti dall’Africa subsahariana. Questa situazione ha portato a tre manifestazioni di protesta, tre blocchi stradali (10/5, 6/6, 20/6) che hanno sortito l'effetto di accelerare i lavori della commissione. Non tutti però hanno l'energia per continuare a lottare per i loro diritti; molti sono rassegnati. La disperazione si fa strada in tanti, come si evince dal rapporto di Medici senza frontiere (Dall’inferno al limbo), presente nel centro per un progetto di salute mentale della durata di tre mesi, che documenta sette tentati suicidi fra i migranti rinchiusi nel CARA. Una denuncia forte che punta i riflettori sul fallimento del centro modello dove le condizioni di vita sono tali da mettere a rischio la salute mentale delle persone, soprattutto le più vulnerabili, quali le vittime di violenza e di tortura, per le quali non è stato predisposto alcun servizio. Le conclusioni del rapporto non ci sorprendono. Abbiamo infatti nei mesi documentato tanti casi di inefficienza, a cominciare dalle cure a dir poco tardive prestate ai feriti della Rivoluzione dei gelsomini, tanti casi di negazione di diritti inalienabili, la reclusione illegale da alcuni mesi di più di 40 minori, abusi delle forze dell'ordine.
Nei mesi, l'atteggiamento delle istituzioni locali si è modificato, passando dal rifiuto della presenza dei migranti all'accettazione del centro quale possibile risorsa economica del territorio. Una risorsa malata che mette in moto un'economia anch'essa malata, basata sulla clientela e sullo spreco delle risorse pubbliche per progetti che nulla hanno a che fare con i bisogni e i diritti dei migranti (alcuni servizi del centro di Mineo, su suggerimento di Castiglione (da poco nominato « soggetto attuatore »), stanno per essere affidati al potente consorzio Sol.Co. Calatino e a Connecting People.... Siamo in direzione diametralmente opposta ad un progetto reale di accoglienza, rispettoso dei diritti delle persone migranti, capace di mettere in moto un'economia virtuosa, con ricadute positive sull'economia e sull'occupazione, come è avvenuto nei comuni della Locride e in molti altri comuni italiani con il cosiddetto sistema Sprar, grazie alle reti solidali di enti ed associazioni. In troppi blaterano di “bomba ad orologeria” per giustificare il Pon sicurezza; visto il mega business potenti consorzi di cooperative sociali si stanno facendo sotto per spartirsi il resto degli appalti, rinunciando a criticare a monte la scellerata decisione di aprire un Cara nel residence degli aranci. Noi, contrariamente a chi ha cessato l’ostilità a questo dispendioso, clientelare e disumano esperimento, abbiamo sempre proposto che con meno della metà si sarebbe potuto fare reale accoglienza all’interno dei paesi limitrofi con i progetti SPRAR, come ha dimostrato il sindaco di Riace nel convegno sull’accoglienza tenutosi a Mineo il 19 marzo scorso. In tanti mesi la Rete Antirazzista ha portato avanti a Mineo iniziative di monitoraggio, di denuncia, di solidarietà e di assistenza; continueremo a farlo ma ci rendiamo conto che non è più rinviabile l'avvio di una campagna nazionale per la chiusura del Cara di Mineo.
CHIUDERE IL VILLAGGIO DELLA « SOLIDARIETA' » IN TEMPI RAPIDI E' POSSIBILE
Intanto deve essere garantito a quanti desiderano farlo, e ne hanno la possibilità, di domiciliare la loro pratica di richiesta d'asilo presso un legale; facciamo poi appello alle amministrazioni locali, alle forze politiche e alle associazioni antirazziste e solidali per attivare e moltiplicare l'esperienza degli SPRAR nel territorio calatino e non solo.
E’ possibile attivare percorsi virtuosi di accoglienza e di reale inserimento sociale persino risparmiando: 20-23 euro al giorno per rifugiato a fronte del contributo oscillante dai 40 ai 52 euro che il governo versa agli enti che gestiscono i CARA (a Mineo, fino al 30 luglio, la Croce Rossa Italiana, ente individuato del governo senza l'indizione di un bando pubblico; nulla fa pensare che andrà meglio con la subentrante Protezione Civile). Il modello di esclusione e di emarginazione del CARA di Mineo non ha motivo di esistere se non per dipingere i richiedenti asilo, costretti a fuggire dai loro paesi, come un'emergenza nazionale tale da giustificare la militarizzazione del territorio e la gestione clientelare delle risorse.
Ct 15/7/2011 Rete Antirazzista Catanese
hanno aderito :assemblea nazionale associazioni dei migranti ed antirazziste-Genova 19 luglio, Senza Confine, Confederazione Cobas, LILA(Ct), Askavusa-Lampedusa (info-adesioni alfteresa@libero.it)