domenica 10 luglio 2011

Report da Lampedusa

Fuori dai centri (Base Loran e contrada Imbriacola) la vita continua totalmente avulsa dalle sorti dei migranti, che arrivano, partono o restano confinati. Gli ingenti sbarchi sono avvenuti nella notte tra il 9 e il 10, c’è stato un problema al barcone e dunque le operazioni sono state più lunghe del previsto. 
La nave della Moby, con le fiancate variopinte con i personaggi di Hannah & Barbera sta posteggiata a cala Pisana pronta a fare la spola per i trasferimenti. La nave può portare 1600 passeggeri, ma bisogna calcolare anche il posto per le forze dell’ordine che accompagnano. Si prevede quindi che tra oggi e domani milletrecento migranti verranno spostati. All’interno del centro c’è stato grande fermento per i trasferimenti e il lavoro ordinario con i minori che attendono da molto i trasferimenti ne ha risentito. La mattina dell’11 luglio stanno partendo anche 110 minori. Destinazione è Agrigento, ma non si sa ancora quali siano i luoghi dove saranno collocati.
Soluzioni possibili con i minori
Da un discussione informale con alcuni mediatori si cercava di elaborare la strategia più idonea. Ovviamente non si può pensare una linea che vada bene per tutti, si deve guardare ai casi concreti. Al quasi diciottenne nigeriano resta solo la possibilità di chiedere asilo, mentre il minore somalo ha tutto il tempo per farlo preparato e a dovere, oppure c’è quello che ha un fratello già cittadino europeo, ecc.
La difficoltà maggiore è come accelerare un processo di uscita da Lampedusa e di immissione in un percorso che possa dare le migliori garanzie a lungo termine. Oltre sensibilizzare i comuni, monitorare le comunità di accoglienza, seguire i minori nell’assistenza legale anche fuori da Lampedusa, un’interessante proposta veniva da Hassan (mediatore arci) e cioè la via dell’affido. Il minore può essere affidato ad un parente o anche ad una famiglia italiana qualora abbia dei requisiti che devono essere accertati dai servizi sociali, ma che dall’esperienza di Hassan non sono particolarmente difficili da ottenere, né richiedono tempi troppo lunghi. La famiglia affidataria è sostenuta da un assegno di 500 euro o più mensile, che è comunque meno di quanto costerebbe al comune l’alloggio in comunità (quindi i comuni ne avrebbero convenienza a promuoverlo). L’affido può essere anche temporaneo (ad esempio il fine settimana).
Dunque Hassan propone di fare maggiore informazione e sensibilizzazione sull’affido le potenziali famiglie, anche perché il permesso per minore età del ragazzo in affido è convertibile ai 18 anni in un permesso per studio o lavoro. 


Ragguagli sul quesito: perché a Lampedusa non è accaduto il finimondo ai tempi dell’emergenza?
Come vi dicevo, un filo conduttore della mia visita a Lampedusa è comprendere perché durante l’emergenza non sia scoppiato un conflitto tra gli abitanti dell’isola e i tunisini, perché si è riusciti a tenere tutto sottocontrollo nonostante l’abbandono delle istituzioni nazionali e la pessima gestione governativa?
Oggi ho intervistato sia il parroco che Gianluca Vitale di Askavusa e, pur nella differenza delle provenienze, i loro discorsi coincidevano e si completavano, rappresentando, peraltro, le realtà locali più attive durante l’emergenza. Sia padre Stefano che Gianluca dicevano che la gestione dell’immigrazione ha portato coesione, sia all’interno di ciascun gruppo, sia tra i membri e i simpatizzanti di Askavusa, sia tra i parrocchiani, ma anche tra i diversi cittadini e le associazioni locali che si sono trovate a coordinarsi nel sopperire uno stato assente se non addirittura ostile. Sia Gianluca che Padre Nastasi dicevano che c’è una predisposizione dei lampedusani a comprendere chi vive nella precarietà e nel disagio perché è una condizione dell’isolano. Ad esempio la vita quotidiana dei lampedusani è fortemente condizionata dal clima, le difficoltà per fare qualsiasi cosa (curarsi, studiare, partorire, spostarsi) sono notevoli. 
Ma io facevo notare che spesso il disagio più che essere ragione di comprensione e apertura è funzionale al suo contrario, che molta gente non aspetta altro che trovare qualcuno più sfigato di lui su cui rivalersi.


Intervista a padre Stefano Nastasi. “Condividere il peso”
Il parroco mi diceva che i lampedusani hanno fatto un percorso nel comprendere e relazionarsi agli immigrati. Inizialmente, pur essendoci molti sbarchi, autoctoni e stranieri non si incontravano granché e lo straniero rimaneva un’entità distante. Poi, siccome molti locali sono stati coinvolti negli anni nella gestione del centro di accoglienza (non a livello direttivo ma nelle mansioni più prossime agli immigrati), hanno imparato a conoscerli e molti hanno dissolto i loro pregiudizi. Inoltre facevano testimonianza di queste scoperte con gli altri paesani. La comunità parrocchiale è abbastanza viva e partecipe, e tanto il vescovo che il parroco che i volontari hanno fatto molta sensibilizzazione.
Altro fattore importante – secondo il parroco – è stato che le istituzioni e le realtà locali, pur con le riconosciute ambiguità e compromissioni, hanno dato un esempio di apertura. Il comune ha fatto aprire un residence e i luoghi pubblici perché gli immigrati vi si potessero alloggiare, la chiesa ha aperto i suoi locali, askavusa ha messo a disposizione la sua sede e altre persone hanno utilizzato dei negozietti come magazzini per dare le forniture necessarie ai migranti.
Ma l’elemento chiave che il sacerdote rimarca nella strategia dell’accoglienza è stata: la condivisione del peso. Nel momento in cui le somme istituzioni si sono lavate le mani, la gestione dell’emergenza è stata assunta dagli isolani. Ma tra gli isolani c’è stata una condivisione ben distribuita del carico di lavoro e una coordinazione che mancava ai vertici, “non solo della chiesa” precisa il prete: “la carità non è un patrimonio esclusivo della chiesa, altrimenti diventerebbe una cosa d’elite. Ad esempio c’è stata un’ottima coordinazione con i ragazzi di Askavusa”.
Ora però la sfida – dice padre Nastasi, ma è quello che tutti gli isolani rimarcano – è far comprendere che Lampedusa può essere tanto luogo di accoglienza dei migranti in transito, quanto luogo turistico: essa deve far convivere questa doppia vocazione.
Un’idea che suggerisce padre Stefano è la seguente: dato che le navi che sparpagliano per l’Italia i migranti giunti a Lampedusa tornano vuote, si potrebbe offrire un passaggio gratuito a chi voglia venire sull’isola. 
Comunque occorre davvero fare qualcosa per rilanciare il turismo sull’isola perché la desolazione e la perdita economica sono davvero ingenti e, oltre al tracollo finanziario, si rischia alla lunga di avere anche conseguenze negative sulla disponibilità all’accoglienza dei lampedusani.


Intervista a Gianluca Vitale di Askavusa. “La paura buona”
Gianluca di Askavusa mi ha dato una risposta molto interessante al mio quesito. Mi diceva che ha giocato un ruolo importante la paura. Tunisini e isolani si trovavano insieme su uno scoglio ed entrambi erano impauriti. Tra i tunisini non c’erano solo bravi ragazzi, ma anche teste calde, avanzi di galera, scafisti, per quanto in piccola percentuale e la gente aveva un giustificato timore. Inoltre la tensione era forte e gli incidenti sono stati sfiorati e alcuni episodi sgradevoli ci sono stati da entrambe le parti. Poi anche i tunisini sapevano che la loro situazione era molto delicata. La paura ha fatto leva sull’autocontrollo, ed ha assunto la forma di una paura sana, non quella che fa chiudere, ma quella che fa dire: “se non ci si aiuta a vicenda qui finisce male a tutti”, “se non ci si riconosce reciprocamente lo sforzo che ciascuno sta facendo per tollerare le difficoltà siamo ancora più nei guai”. Questa paura autentica per un pericolo oggettivo ha portato le persone ad aprirsi più che a chiudersi. 


Durante l’emergenza, le persone si sono scoperte migliori di quelle che pensavano di essere, molti si dichiaravano sbalorditi di quello che erano riusciti a fare. Ciò farebbe pensare che quasi quasi l’abbandono istituzionale possa avere effetti salutari. Probabilmente invece sarebbe fondamentale coinvolgere i locali attivamente nella gestione dell’accoglienza, perché questo è positivo per tutti, ma con un’investitura chiara e un riconoscimento effettivo.


I ragazzi si Askavusa sono ancora in moto, hanno diversi progetti in cantiere e, tra l’altro, il piano colore per le case un po’ smorte del paese l’avevano pensato ben prima di Berlusconi.
Così come stanno pensando a realizzare una cooperativa che curi la raccolta differenziata e il riciclaggio.
Ora a breve c’è dal 19 al 23 il Film Festival. Ho incontrato il direttore artistico ed ex-vincitore del premio Luca Vullo e i promotori. Sono tutti entusiasti del programma, sarà davvero bello quest’anno quindi invito tutti ad andare.


Clelia Bartoli