martedì 23 maggio 2017

Dalla fine dello stato sociale alla guerra ai migranti. La necessità di una lettura politica

Communianet.org - Nelle ultime settimane abbiamo assistito a uno spettacolo terribilmente violento giocato completamente sulle spalle dei migranti. Da Salvini, sempre più vigliacco, che ha passato una giornata intera presso il Cara di Mineo a deridere le migliaia di persone che vi abitano in condizioni disumane, al rastrellamento su base etnica alla stazione di Milano che ha come mandante politico il Pd dei Decreti Minniti/Orlando.
Ph. Communianet.org
Negli stessi giorni a Roma un lavoratore senegalese, venditore ambulante ed ultima pedina nel traffico di merce contraffatta, è morto dopo l’ennesima retata del nucleo speciale della Polizia Municipale, quello dei vigili urbani-sceriffi che nel nome dell’ideologia del decoro, in una città in cui languono lavoro, opportunità e servizi, compie azioni spettacolari utili solo alle prime pagine del Messaggero. Sempre a Roma, e sempre in nome della lotta al degrado, un esponente dei 5 Stelle ha chiesto alla Caritas di non distribuire più i pasti ai senza fissa dimora per non deturpare Colle Oppio, dimostrando così come i principi alla base del Decreto Minniti, la lotta ai poveri invece che alla povertà, siano largamente condivisi e diano sempre più spazio a letture apertamente razziste e classiste (la lista di questi deplorevoli fatti e delle vergognose dichiarazioni di politici di destra, di centro-sinistra e grillini purtroppo è molto più lunga e si aggiorna quotidianamente). Tutto questo con il sottofondo di una delle macchine del fango più vergognose che questo paese ricordi, quello contro le Organizzazione Umanitarie che negli ultimi anni hanno salvato migliaia di vite in mare nella rotta migratoria più pericolosa e letale al mondo, quella del Mediterraneo Centrale.


La criminalizzazione dei migranti come strategia politica
Ma come si tengono insieme tutti questi fatti? Perché Zuccaro si è sentito in dovere di esternare le sue opinioni e di dare fiato a quello che alcuni hanno chiamato populismo penale o giudiziario? Per quale motivo tutte le forze politiche oggi lucrano politicamente sui più deboli tra i deboli, quei migranti senza diritti, vittime di una marginalizzazione a norma di legge che impedisce loro di prendere parola?
La criminalizzazione dei migranti e di chi dà loro solidarietà, singoli, associazioni, movimenti, Ong, ha ormai piena legittimità nel discorso pubblico. I migranti sono naturalmente criminali in potenza, ontologicamente clandestini, deturpatori del decoro urbano, presunti terroristi, nemici che hanno osato accedere al nostro spazio nazionale, pretendendo addirittura rispetto e dignità. E se questo sono i migranti, figuriamoci chi solidarizza con loro: buonisti di associazioni bianche e rosse che fanno business, collusi con qualche strano piano di sostituzione etnica finanziato da miliardari globalisti e nemici della loro stessa identità. Chiariamoci, l’intreccio di interessi tra criminalità, cooperative e istituzioni è evidente, ma accusare chiunque solidarizzi con i migranti di collusione significa sminuire la portata politica del problema, ossia il fatto che sono le leggi europee e nazionali che impediscono accessi legali agli stranieri e l’emergenzialità continua con cui si affronta la mobilità umana a determinare meccanismi di sfruttamento e di illegalità che si verificano in tutte le fasi del percorso migratorio, dalla partenza fino all’accoglienza nei paesi di arrivo.
Queste narrazioni contro i migranti, purtroppo, non nascono oggi ma sono state costruite in maniera scientifica negli ultimi anni, da una classe politica in crisi che ha saputo utilizzare l’immigrazione come risorsa infinita di consenso, scaricando sui migranti le tensioni di una cittadinanza con sempre meno diritti e sicurezze sociali.
I migranti, poveri tra i poveri e senza il diritto ad avere diritti, si trovano loro malgrado ad essere pedine nella generale crisi dello stato sociale europeo che ha distrutto i diritti sociali e ha minato il principio alla base delle democrazie europee, ossia il lavoro come fonte di integrazione. Tra l’altro, la distruzione dei diritti dei lavoratori non solo ha trasformato il lavoro, che appunto non è più strumento di accesso ai diritti ma terreno di sperimentazione dell’erosione degli stessi, ma ha determinato la crisi totale del movimento operaio che in passato riusciva ad essere mezzo di socializzazione tra lavoratori migranti e non. La crisi ha permesso, così, lo svilupparsi dell’idea secondo cui la cittadinanza e i diritti che essa comporta siano esclusivo appannaggio dei nativi. I poveri e gli impoveriti italiani ed europei, che da anni subiscono austerità e liberismo, sono stati inconsapevolmente ingaggiati in una guerra contro gli stranieri considerati nemici nell'accesso alle briciole di un sistema di welfare in via di progressivo smantellamento ad opera degli stessi soggetti che oggi scatenano la caccia al migrante.
Oggi le opzioni politiche in campo, siano esse neoliberiste e pro-austerità oppure neonazionaliste (che poi sono due facce della stessa medaglia), hanno poche risorse simboliche realmente spendibili se non quella della lotta incessante contro lo straniero che minaccia i diritti dei nativi. Una risorsa che oggi ha molti competitors: Lega, 5 Stelle e Partito Democratico si rincorrono continuamente e pur se con sfumature diverse vedono nel fenomeno migratorio un capitale da spendere per ottenere consenso da un elettorato inferocito dalla crisi.
Sfumature diverse, ma anche responsabilità diverse. Il PD è oggi il peggiore e più subdolo nemico dei migranti, non solo perché al Governo del paese, ma perché, inseguendo la “percezione dell’insicurezza” e dichiarando sicurezza e decoro valori di sinistra, crede di rubare consenso al populismo grillino e leghista, fingendo di non sapere che così si dà linfa vitale proprio alla destra razzista e xenofoba. Una rincorsa, quella del centro-sinistra alle tensioni razziste e populiste della destra, che ha una storia lunga, iniziata negli anni 90 con l’approvazione della Turco-Napolitano durante il Governo Prodi. Una rincorsa non a caso parallela al distacco tra il centro-sinistra e la difesa dello Stato Sociale e dei diritti dei lavoratori.
Il ruolo dei media
La politica, in generale crisi di legittimità e senza grandi idee di trasformazione dell’esistente, ha saputo quindi utilizzare i migranti come catalizzatori di consenso in una società in crisi, avendo come grande e fondamentale alleato il sistema mediatico che da anni, a parte rarissime eccezioni, è completamente schierato a favore di una narrazione distorta del fenomeno migratorio. La stampa ha utilizzato un frame a basso costo, dal sicuro impatto emozionale e compiacente nei confronti dei partiti politici, alimentando una post-verità ante-litteram che ha permesso di ripetere in maniera automatica e oggettiva una visione allarmistica del fenomeno migratorio, divenuto il sottofondo abituale e scontato di qualsiasi discorso che riguarda gli stranieri in Italia.
In Non-Persone, Alessandro dal Lago descrive questo circuito politico e mediatico e, definendo il concetto di “tautologia della paura”, scrive che “l’emergenza immigrazione, cresciuta come una sorta di magma o blob politico-mediale negli anni recenti, è divenuta una verità indiscutibile, capace non solo di espandersi indefinitamente nutrendosi delle retoriche che l’hanno generata, ma di promuovere accesi dibattiti politici nazionali, interventi governativi e provvedimenti di legge”.
Una descrizione perfetta di quello che sta accadendo, se non fosse che la prima edizione del libro è del 1999, a testimonianza di come questo discorso in vent'anni abbia affinato tecniche e strumenti e sia oggi passivamente accettato dalla gran parte dell’opinione pubblica.
Dal populismo politico a quello giudiziario
In questo contesto si inserisce, infine, il populismo penale di Zuccaro che ha trasferito quel frame dai salotti televisivi e della politica alle aule delle Procure, scoprendo così che quando si parla di migranti non servono prove né garantismo, perché dietro le migrazioni non può che nascondersi una qualche forma di delinquenza, sia di chi legittimamente esercita il diritto di movimento che di coloro che solidarizzano e lottano per i diritti dei migranti.
In questo teatrino, dunque, il Procuratore è un attore non consapevole di una pièce scritta da altri, che negli anni ha diffuso un linguaggio velenoso e violento fin’ora usato solo da stampa e politica, ma che oggi è finalmente disponibile anche nelle aule dei tribunali. Sui migranti eravamo abituati al populismo politico, all’allarmismo mediatico, abituiamoci da ora anche al populismo giudiziario che sa di poter usare una risorsa simbolica infinita. Non è ancora noto l’obiettivo di Zuccaro, ma c’è da avere paura di questa deriva, soprattutto se pensiamo al recente Decreto Minniti che ha eliminato un grado di giudizio esclusivamente per i richiedenti asilo, trasformando quella giustizia che spesso riconosceva diritti precedentemente negati dal potere amministrativo in un’ulteriore strumento di erosione dei diritti degli stranieri.
Tutto si lega e tutto si tiene e oggi siamo nella situazione in cui, nonostante le evidenti falsità e i dati distorti, diversi attori sociali competono nell’alimentare una lettura deformata della realtà migratoria che ha però esiti e conseguenze reali che si giocano sulla pelle di persone in carne ed ossa. Tra gli effetti reali più gravi, indubbiamente, l’impossibilità di ragionare in maniera seria su opzioni di accesso legale che determinerebbero la fine di traffici e business sulla pelle di coloro ai quali viene impedito di viaggiare liberamente.
La guerra contro i migranti e la necessaria risposta politica
Siamo quindi di fronte ad una vera e propria guerra giocata ad armi impari tra un continente che, nonostante crisi e recessione, continua ad essere il più ricco del mondo e migliaia di persone che non hanno nessuna arma se non i loro corpi. Una guerra asimmetrica, dove i morti si contano solo da una parte e dove le armi europee sono le leggi, i regolamenti, le circolari amministrative e l’esternalizzazione delle frontiere che alzano muri ben più invalicabili di quelli reali.
Una guerra che trasforma i migranti in vittime, sia perché uccisi dall’impossibilità di arrivo legale, moltitudine indistinta che continua a morire senza neanche fare più notizia, sia perché resi oggetto di battaglia politica senza diritto di parola e di replica.
Diciamocelo chiaramente: recuperare terreno nella battaglia del consenso che si gioca in questa guerra è ormai difficilissimo e pensare di combattere a colpi di tweet o di post sui social è una pura illusione. Lo dimostra il discredito di queste ultime settimane di organizzazioni non governative contro cui mai si era scatenata una campagna di odio di tale portata, forse neanche nei teatri di guerra in cui sono state testimoni di conflitti armati, che ne ha determinato il generale discredito da parte dell’opinione pubblica (e non è un caso che sia avvenuto poco prima della dichiarazione dei redditi e quindi del del 5×1000, una delle principali fonti di entrata di queste organizzazioni). Una campagna che ha purtroppo potuto contare su un’opinione pubblica quasi totalmente schierata contro i migranti.
L’unica arma che abbiamo in questa guerra è la consapevolezza tutta politica che dietro ai morti in mare o nel deserto, dietro ai morti all’interno dei nostri confini in nome della sicurezza e del decoro e dietro l’esclusione democratica di migliaia di stranieri, c’è una regia politica nazionale ed europea, che è riuscita ad imporsi con trattati, leggi e regolamenti e a mettere un confine reale tra chi sta dentro e chi fuori. Una strategia che impedisce a migliaia di persone in fuga da guerre e persecuzioni di arrivare legalmente in Europa, mentre chiude contemporaneamente qualunque possibilità di accesso al mercato del lavoro europeo a chi legittimamente aspira a migliori condizioni di vita. Una strategia che destina, poi, a chi ha superato la selezione naturale alla frontiera un ruolo marginale nei paesi di arrivo, dove privi di diritti si trasformano in risorsa politica per il populismo ed in possibilità di sfruttamento per cooperative senza scrupoli che hanno fatto dell’accoglienza un business o per settori fondamentali della nostra economia nazionale, come quello agricolo.
Dare un nome ai mandanti di questa guerra, denunciare le responsabilità politiche dietro le migliaia di vittime del Mediterraneo, non deve essere solo un esercizio retorico ma deve aiutarci a riconoscere una controparte politica e istituzionale, la stessa che sta distruggendo la democrazia e le conquiste sociali, la stessa che ha già distrutto il futuro di un’intera generazione di europei. Una controparte che sta utilizzando il fenomeno migratorio come immenso laboratorio politico in cui affinare strumenti di controllo sociale e di esclusione, armi necessarie a governare una cittadinanza impaurita che presta il suo consenso non consapevole che i diritti tolti a qualcuno non accrescono quelli che essa sta perdendo.
In questo contesto, le azioni umanitaristiche, per quanto spesso in buona fede e lodevoli, se non iniziano ad accettare questo livello politico rischiano di tradursi in opzioni oramai non più sufficienti, se non addirittura in vere e proprie stampelle, magari inconsapevoli, di questa strategia di esclusione e morte.
È necessario, invece, che i migranti prendano parola e si rendano protagonisti in una società che li vuole oggetti da sfruttare politicamente o economicamente. Servono reali percorsi di partecipazione dal basso, il sostegno a quelle grandi e piccole forme di conflitto, spesso politicamente inconsapevoli, che i migranti realizzano contro la Fortezza Europa ad ogni latitudine, non solo rivendicando diritti civili ma anche sociali. È necessario che chi appartiene alla generazione europea più povera dal boom economico riconosca nell'altro, negli espulsi a causa di guerre e povertà, un proprio simile che combatte contro muri e frontiere per esercitare il legittimo diritto ad una vita migliore. Solo la consapevolezza politica che l’immigrazione ha permesso di sperimentare la precarizzazione del lavoro e l’esclusione di una parte dei lavoratori dall'accesso ai diritti, può ribaltare l’esito di questa guerra e togliere terreno a razzismo e populismo.

Nicolas Liuzzi